Soffia vento di crisi nel Governo. L’oggetto della discordia è la prossima manovra finanziaria richiesta dall’Unione europea, che i Renziani non sembrano saranno disposti a votare? Non è Gentiloni la questione, ma Padoan.
Padoan il tecnico, l’uomo del FMI e dell’OCSE che si preoccupa di essere credibile agli occhi dei mercati ma mai a quelli dell’economia reale e che, ancora oggi, dopo terremoti senza ricostruzioni e disoccupazione al palo, obbedisce a Bruxelles e prepara un’ulteriore manovra da 3,4 mld rassicurando l’opinione pubblica sul fatto che la manovra non sarà recessiva. Peccato che non esistano manovre che pur riducendo il deficit siano al contempo stimolo alla crescita. Una manovra che riduce il deficit è per definizione recessiva. E, come se non bastasse, per compiacere mercati e Commissione, Padoan è pronto a completare le privatizzazioni.
Dall’altra parte Renzi, consapevole che per recuperare consenso e credibilità ha bisogno di tutto tranne che di essere associato all’ennesima manovra depressiva o di essere ricordato come colui che completò la privatizzazione degli asset statali. Sa bene che non c’è politico nell’Eurozona che, obbedendo ai diktat di Bruxelles, non abbia pagato il prezzo in termini di consenso. Lo ha già sperimentato sulla propria pelle, e sa di dover stare lontano da questa ipotesi come la peste.
Il conflitto Padoan-Renzi è in realtà il conflitto tra il tecnico e il politico. Ed è una guerra vinta dai tecnici. In termini più generali, è il conflitto tra l’austerità che sacrifica le persone per i numeri e la politica che dovrebbe sacrificare i numeri in nome delle persone. Abbiamo detto “dovrebbe” perché oggi la politica non si pone in alternativa ai dogmi dell’austerità, ma in una relazione di totale subalternità.
La politica deve riprendere il primato sul tecnicismo dei numeri. È democratico che le scelte politiche siano dettate dal consenso degli elettori, perché l’alternativa è che siano dettate dalle élites.
I dogmi dell’austerità, che eccitano i tecnici, annientano il dovere della politica di guardare a più interessi, al lungo termine, a dare un senso prospettico all’azione presente.
Non sappiamo quando i politici avranno il coraggio di riprendersi la responsabilità di fare politica e di subordinare il deficit alle scelte politiche e non viceversa. In attesa del senso di responsabilità, che non arriva, bisogna sperare nel loro terrore di diventare impopolari.