Il punto di partenza per comprendere il ruolo della valuta nell’economia e nella società
Uno dei discorsi economici precursori della Teoria della Moneta Moderna è l’approccio Cartalista della moneta, sviluppato dall’economista tedesco Georg Friedrich Knapp in “The State Theory of Money” del 1905. La teoria Cartalista riconosce la natura sociale della moneta, asserendo che la genesi del denaro sia da rintracciare all’interno del quadro istituzionale della società, ovvero all’interno del settore pubblico. In particolare, l’emissione della moneta rientra storicamente tra le prerogative dello Stato. La valuta è qui primariamente pensata come una relazione sociale che intercorre tra lo Stato ed i suoi cittadini. La valuta esplicita i rapporti di credito/debito tra questi due soggetti. La MMT condivide tale impostazione teorica ed è considerata una teoria Neo-Cartalista particolarmente attenta a descrivere il funzionamento dei sistemi monetari.
La teoria della moneta moderna spicca all’interno del panorama della letteratura economica in quanto è l’unica a riconoscere il concetto di Stato come Monopolista della valuta [1]. Infatti lo Stato [2] non solo crea la valuta [3], ma è anche l’unica istituzione avente facoltà di crearla [4]: lo Stato è emettitore in senso monopolistico della valuta. Per comprendere pienamente il concetto di monopolista può essere utile avvalersi di un’analogia: per esempio, lo stadio di San Siro è monopolista dei biglietti di San Siro. Ciò vuol dire che la biglietteria di San Siro è l’unica che può emettere i biglietti dello stadio. Di conseguenza, la biglietteria di San Siro prima distribuisce i biglietti e solo dopo averli messi in circolazione può raccoglierli. Ecco qui il parallelismo con il sistema monetario moderno: anche lo Stato prima distribuisce la valuta e solo dopo può raccoglierla. Quest’ultimo infatti crea valuta attraverso la spesa pubblica, mediante la quale il conto del Governo presso la Banca Centrale viene addebitato per un importo pari all’accredito che riceve il conto del destinatario della spesa dello Stato. Al contrario, è tramite la tassazione che lo Stato drena liquidità dal settore privato. Quindi, così come avviene per i biglietti dello stadio di San Siro, anche lo Stato prima di raccogliere valuta deve necessariamente averla spesa in precedenza. Lo Stato prima spende la valuta che crea, e solo dopo può raccoglierla con le tasse. Seguendo il filo logico del discorso, si arriva all’ovvia constatazione secondo cui le tasse non finanziano la spesa pubblica, semmai è il settore privato che paga le tasse grazie alla valuta creata dalla spesa pubblica. Ma se le tasse non servono a finanziare la spesa pubblica, allora a cosa servono? Procediamo con ordine:
- Lo Stato, forte del monopolio della forza di cui è dotato, impone alla collettività una tassazione espressa nella valuta di cui è monopolista.
- Imponendo la tassazione, lo Stato induce la domanda della sua valuta, ovvero l’offerta di lavoro. La tassazione impone agli agenti economici di diventare venditori di lavoro, beni e servizi al fine di procurarsi la valuta.
- Lo Stato spende la propria valuta acquistando dal settore privato i beni e i servizi che desidera procurarsi. In altre parole, lo Stato si approvvigiona di beni e servizi reali, i quali sono offerti dal settore privato per ottenere la valuta necessaria al pagamento delle tasse.
- In questo modo l’economia è monetizzata nella valuta di cui lo Stato è monopolista, perciò all’interno del settore privato gli scambi di beni e servizi saranno prezzati nella moneta di conto emessa dallo Stato. La tassazione impone l’uso di una specifica valuta agli agenti economici presenti su un territorio.
Ecco quindi il fine della tassazione: creare lavoratori in cerca di lavoro remunerato nella valuta statale. Ne consegue che, per lo Stato, il denaro non ha nessun valore, è solo uno strumento. Così come per lo stadio di San Siro il suo biglietto non ha alcun valore: quando lo stadio ritira i suoi biglietti li distrugge, proprio come lo Stato fa con la valuta [5]. Quello che lo Stato fa con la valuta è orientare una parte della capacità produttiva del Paese. Lo Stato ha infatti bisogno di insegnanti per educare, medici per curare, scienziati per ricercare, ma non ha bisogno di procurarsi valuta dato che è lui stesso ad emetterla ed anche l’unico a poterlo fare [6]. Ovviamente, essendo presenti più Stati vi saranno allora anche più monopolisti, le cui rispettive valute saranno scambiate sul mercato, determinando così il rapporto di cambio sulla base della domanda e dell’offerta.
Il sistema monetario è sempre stato il mezzo che ha permesso al monopolista della valuta di rifornirsi di beni e servizi reali. Anche in età imperialista, l’imposizione della tassazione è stato lo strumento utilizzato dalle potenze coloniali per obbligare le popolazioni locali a lavorare per lo Stato conquistatore. Quando gli Inglesi invasero il Ghana nel XIX secolo, ricercavano la forza-lavoro della popolazione africana per approvvigionarsi di beni e servizi reali, e sicuramente non avevano bisogno delle tasse dei Ghanesi per finanziare la propria spesa pubblica dato che questa era denominata nella valuta di cui l’Inghilterra era emettitore monopolistico. La tassazione all’interno dell’economia non ha mai rappresentato una fonte di finanziamento per la spesa dello Stato, ma è sempre stata finalizzata al trasferimento di risorse reali [7].
La capacità di spesa dello Stato non è quindi vincolata alla sua abilità di reperire entrate fiscali, in quanto il settore pubblico finanzia la propria spesa attraverso la creazione di valuta. In un sistema monetario fiat [8] lo Stato non può mai trovarsi nell’impossibilità di spendere [9]. Lo Stato potrà sempre onorare un debito espresso nella valuta di cui è monopolista. La spesa del monopolista della valuta non è soggetta a vincoli di natura finanziaria ma incontra solamente limiti reali, come la capacità dello Stato di mobilitare le risorse effettivamente presenti sul territorio.
È il settore privato [10], invece, ad avere la necessità di guadagnare denaro o contrarre prestiti per poter spendere. All’interno di questo settore, un agente economico può aumentare la propria ricchezza finanziaria netta (Net Financial Assets, NFA) solo se fornirà allo Stato beni o servizi o se qualche altro agente vorrà cedergli parte della propria NFA all’interno del mercato tra privati. Se nel settore privato un soggetto ha desiderio di aumentare i propri NFA ma a ciò non corrisponde la disponibilità di un altro soggetto privato di cedere i propri NFA, allora si avrà una domanda di risparmio netto del settore privato [11] che rimarrà insoddisfatta.
In concreto lo Stato, grazie al monopolio coercitivo di cui è dotato, impone la tassazione al settore privato e in questo modo crea l’offerta di lavoro al suo interno. Tuttavia, la disoccupazione dimostra che il settore privato non è in grado di comprare tutto il lavoro che viene offerto. Il disoccupato, che per definizione è colui che cerca un lavoro remunerato in una valuta specifica senza trovarlo, offre la propria forza-lavoro per ottenere NFA, e la sua richiesta non trova corrispondenza nella volontà di altri soggetti di diminuire i propri NFA o dello Stato di comprare la sua forza lavoro. A questo punto, solamente la spesa del monopolista della valuta e la conseguente creazione tramite la spesa pubblica di NFA potrà soddisfare l’offerta di lavoro del disoccupato. In altre parole, ad un dato livello di tassazione, solo un livello di spesa pubblica che risponde al bisogno di risparmio netto del settore privato può fare in modo che l’offerta di lavoro venga interamente comprata, così da raggiungere la piena occupazione e, al contempo, centrare l’obiettivo che spinge chi detiene il monopolio della forza [12] a costituire un sistema valutario: approvvigionarsi di beni e servizi reali.
Si può allora affermare che la disoccupazione è la prova che il monopolista della valuta sta fissando l’offerta di asset finanziari netti denominati in quella valuta ad un livello più basso di quello necessario per la piena occupazione.
In altre parole, la disoccupazione è la prova che il deficit [13] dello Stato è troppo piccolo per soddisfare l’esigenza del pagamento delle tasse e il desiderio di risparmio netto del settore privato. Solamente un maggior deficit dello Stato potrà creare quegli asset finanziari netti necessari per il pagamento delle tasse e per soddisfare la volontà di risparmio del settore privato.
Per porre fine al disastro chiamato disoccupazione, il Governo dovrebbe adottare politiche di bilancio espansive consistenti in un aumento della spesa pubblica, in una diminuzione delle tasse o in una combinazione tra le due manovre. Questo implica un necessario consolidamento tra l’autorità monopolista della valuta e l’autorità che gestisce la politica fiscale. Nel caso dell’Eurozona, la Banca Centrale Europea, che è il monopolista della valuta, non è subalterna alle leggi di alcun Parlamento e, per statuto, può, in teoria, lasciare che Stati che hanno adottato l’Euro possano effettivamente incorrere in un default se non rispettano i vincoli imposti dall’UE sul deficit pubblico.
Dal punto di vista accademico, la MMT assimila sia la lezione degli economisti Classici, secondo i quali la disoccupazione è causata da una posizione di monopolio all’interno del mercato, sia la visione di Keynes quando afferma che è il carattere monetario dell’economia che può ostacolare il raggiungimento della piena occupazione. La Teoria della Moneta Moderna supera il dibattito tra queste due scuole di pensiero economico affermando che è la valuta il monopolio che crea disoccupazione all’interno del sistema.
Note dell’Autore
1.^ Inteso come produttore unico di valuta (attività finanziarie nette per il settore privato denominate in una valuta specifica).
2.^ Per Stato si intende il consolidamento delle amministrazioni pubbliche, tra cui il Ministero del Tesoro e la Banca Centrale.
3.^ Lo Stato crea attività finanziarie nette nella valuta che emette per il settore privato. Le attività finanziarie nette (Net Financial Assets) per il settore privato sono attività finanziarie detenute dal settore privato che non hanno la corrispondente passività all’interno del settore privato.
4.^ All’interno dell’economia, lo Stato è l’unico soggetto che può creare attività finanziarie nette per il settore privato. Le banche commerciali possono solo creare attività finanziarie non nette. Vedi qui.
5.^ Che oggi lo Stato sia sottoposto a vincoli contabili non toglie che ogni soldo riscosso con le tasse sia un soldo che lo Stato ha prima speso e che, dunque, come la spesa crea la valuta dal nulla, la tassazione la distrugge nel nulla.
6.^ Attualmente, dal punto di vista monetario lo Stato è l’UEM e lo Stato italiano ne è organico ed è sottoposto ai vincoli che l’UEM si è autoimposta.
7.^ Tcherneva, P., Money, Power, and Monetary Regimes, Levy Economics Institute of Bard College, pag. 9.
8.^ Nel sistema monetario Fiat, lo Stato è monopolista della valuta ed il valore di quest’ultima nei confronti delle altre valute fluttua liberamente.
9.^ Il consolidamento tra Ministero del Tesoro e Banca Centrale rende lo Stato immune alla condizione di insolvenza. A tal proposito si richiama un paper (Ecb.europa.eu, pag. 14, nota 7) redatto da un team di economisti della Banca Centrale Europea, tra cui il director general administration della BCE, in cui si legge: “Le banche centrali sono protette dall’insolvenza grazie alla loro possibilità di creare moneta e possono pertanto operare con un patrimonio netto negativo”.
10.^ Il settore privato è formato da cittadini, famiglie e imprese, chiamati agenti del settore privato.
11.^ La domanda di risparmio netto del settore privato è la ricerca di attività finanziarie nette, in un dato periodo, che eccedano quelle necessarie per il pagamento delle tasse.
12.^ In particolare, chi detiene il potere di imporre una tassazione e di definire in cosa questa debba essere pagata (Pavlina-tcherneva.net, pag. 70).
13.^ Il deficit dello Stato è la differenza negativa tra le tasse e la spesa pubblica. Contabilmente corrisponde al surplus finanziario del settore privato (residente e non residente) in una data valuta.