Più tasse e tagli alla spesa dei Comuni per onorare le regole di bilancio di Bruxelles e adeguamento della democrazia parlamentare italiana al paradigma dei trattati europei
È veramente il risibile risparmio legato alla riduzione del numero dei Senatori ed all’abolizione del CNEL la vera ragione della riforma costituzionale? Credono realmente a quello che dicono, cioè che la riforma “sburocratizzerà” l’Italia quando invece si passerà da un iter legislativo chiaro, definito da 9 parole, ad un procedimento confuso e frammentato in 5, 7 o forse 12 nuovi iter legislativi?
Quali sono allora le vere, profonde ragioni che hanno spinto il Governo, negli ultimi mesi, a tenere il Parlamento impegnato a modificare un terzo della Costituzione?
È lo stesso Governo ad elencarle ai Senatori nella relazione “Le ragioni della riforma“:
“Lo spostamento del baricentro decisionale connesso alla forte accelerazione del processo di integrazione europea e, in particolare, l’esigenza di adeguare l’ordinamento interno alla recente evoluzione della governance economica europea (da cui sono discesi, tra l’altro, l’introduzione del Semestre europeo e la riforma del Patto di stabilità e crescita) e alle relative stringenti regole di bilancio (quali le nuove regole del debito e della spesa)”
“Le spinte verso una compiuta attuazione della riforma del Titolo V della Parte Seconda della Costituzione tesa a valorizzare la dimensione delle Autonomie territoriali e, in particolare la loro autonomia finanziaria (da cui è originato il c.d. federalismo fiscale), e l’esigenza di coniugare quest’ultima con le rinnovate esigenze di governo unitario della finanza pubblica connesse anche ad impegni internazionali.”
Per votare in maniera consapevole, i cittadini italiani dovrebbero leggersi il lunghissimo testo della riforma, avere una preparazione almeno basilare di diritto costituzionale, e possedere una discreta conoscenza del diritto europeo. E ancora non basterebbe a comprendere le implicazioni della riforma in tema di politiche economiche.
Purtroppo, ma è normale, molti cittadini non sono nelle condizioni di comprendere autonomamente le ragioni della riforma e quindi di cogliere la portata dirompente delle modifiche proposte.
La comunicazione del Governo viaggia su un doppio binario: i promotori del Sì, alle conferenze pubbliche e tramite i mass media, spiegano al popolo che con la riforma si tenta di rilanciare il futuro del Paese ed il livello di occupazione attraverso la semplificazione normativa, la riduzione dei costi della politica, l’abolizione di enti inutili.
Tuttavia, di questi obiettivi non si trova traccia nel testo della relazione “Le ragioni della riforma” presentata dal Governo ai Senatori. Anzi, le due principali finalità sono completamente diverse, e vengono taciute dal Governo.
I temi fondamentali esplicitati nella relazione ai Senatori sono essenzialmente due: la necessità di rendere più cogenti gli attuali vincoli alla spesa della pubblica amministrazione, ovvero le regole relative alla riduzione del deficit pubblico, e la necessità di adeguare il modello di democrazia parlamentare sancito nella nostra Costituzione al paradigma dei trattati europei.
È veramente scorretto, da parte dei promotori della riforma, tacere sul reale contenuto del testo, chiedendo ai cittadini di “dare fiducia” per sbloccare la situazione di crisi in cui tutti siamo. Riteniamo che i cittadini italiani debbano votare consapevolmente.
L’adeguamento della Costituzione alla governance multilivello che oggi va dai Comuni fino all’Unione europea è un fatto positivo o negativo?
Per poter rispondere, è necessario che i cittadini possano avere accesso ad informazioni sintetiche sul funzionamento dell’Unione europea descritto nel corpus dei trattati europei.
Primo obiettivo: rendere più cogenti le attuali regole europee sulla riduzione del deficit pubblico
Il deficit pubblico è la differenza tra i soldi che in un anno lo Stato immette nel settore privato attraverso la spesa e quelli che rimuove con la tassazione, perciò contabilmente corrisponde al risparmio privato. Le politiche di riduzione del deficit pubblico, sancite nel Patto di Stabilità e Crescita (PSC), vengono oggi attuate dallo Stato attraverso una combinazione di riduzione della spesa pubblica ed aumento della tassazione. Come dà attuazione a tali politiche lo Stato? In parte, vincolando la spesa di alcuni enti facenti parte della pubblica amministrazione come sancito dal Patto di Stabilità Interno (PSI).
Gli enti soggetti al PSI sono in particolare quelli locali: Regioni, Province autonome, Province, Unioni di Comuni e Comuni. Il PSI impone a tali enti una serie di vincoli quantitativi ed operativi molto stringenti – costringendoli sostanzialmente a conseguire un pareggio o, meglio ancora, un surplus di bilancio – che spesso impediscono loro di riuscire a spendere nonostante, spesso, abbiano disponibilità finanziaria sufficiente.
Vengono insomma costretti a tassare più di quanto spendono sia per limitare il deficit aggregato del settore pubblico, sia per garantire una maggiore possibilità di spendere a deficit ad altri enti facenti parte dello stesso settore.
La riforma costituzionale consente di attuare più facilmente la riforma del Titolo V relativo a Regioni, Province e Comuni perché accresce l’accentramento del potere nelle mani dello Stato, togliendo margini di autonomia agli enti territoriali, abolendo di fatto la legislazione concorrente tra Stato e Regioni (art. 117 c. 3) ed introducendo la clausola di supremazia statale (art. 117 c. 4) con cui il Governo può intervenire anche in materie non riservate alla legislazione esclusiva dello Stato.
Secondo obiettivo: adeguare il paradigma della Costituzione ai trattati europei
L’applicazione dei trattati ha portato negli ultimi anni a repentine trasformazioni nei rapporti tra Governo, Parlamento ed Autonomie territoriali. Tali trasformazioni hanno inciso sulla forma stessa di Stato e di Governo senza che tuttavia siano stati adottati interventi diretti a ricondurre in modo organico tali trasformazioni entro l’assetto costituzionale.
La riforma sancisce un passo avanti nell’integrazione tra la Costituzione ed i trattati europei proponendo il “superamento” del modello di democrazia parlamentare descritto dalla Costituzione, per abbracciare invece un sistema in cui il potere si accentra verso l’alto (dalle autonomie territoriali allo Stato, dal Parlamento all’esecutivo) ed in cui l’esecutivo detta l’agenda del Parlamento, violando il principio di separazione tra poteri alla base dell’equilibrio democratico.
Il paradigma descritto dai trattati europei prevede infatti un esecutivo forte (la Commissione europea) che accentra su di sé anche il potere legislativo, godendo del monopolio dell’iniziativa legislativa a discapito del Parlamento europeo. L’unico organo eletto direttamente dai cittadini, il Parlamento europeo, non può proporre le leggi ma può, limitatamente ad alcuni ambiti, “contrattare” faticosamente con il Consiglio e con la Commissione alcune modifiche (vedi approfondimento più in basso).
Nello specifico, l’aumento del potere nelle mani dell’esecutivo si può rintracciare nelle seguenti modifiche proposte dalla riforma:
- Eliminazione del rapporto di fiducia tra Senato e Governo, con la Riforma la sola Camera dei deputati sarà titolare del rapporto di fiducia con il Governo.
- Introduzione del meccanismo “voto a data certa” (art. 72). Il governo può chiedere, relativamente ad una legge essenziale per l’attuazione del programma, che la Camera inserisca il provvedimento in agenda entro 5 giorni e lo discuta nei successivi 70 giorni. Si abbreviano i termini con cui la Camera deve trasmettere il disegno di legge al Senato (5 giorni) sia quelli con cui il Senato può porre modifiche (15 giorni). L’esecutivo insomma, ingerendosi nella funzione legislativa violerà il principio di separazione dei poteri. [1]
- Introduzione della clausola supremazia statale (art. 117): il Governo potrà indebolire le autonomie territoriali, proponendo che le competenze legislative attribuite alle Regioni siano esercitate dallo Stato.
Il modello di democrazia parlamentare della Costituzione Italiana
Il modello di democrazia parlamentare, per definirsi tale, non necessita solo di un organo chiamato “Parlamento”, ma prevede che tale organo eserciti pienamente la funzione di elaborare le leggi, ponendo limiti al potere esecutivo.
La forma di governo prevista dalla Costituzione è rappresentativa, parlamentare ed organizzata per mezzo di partiti. Il popolo, salvo il caso dei referendum, non esercita direttamente il potere deliberativo. Esso elegge i propri rappresentanti, a cui è attribuito il potere di deliberare confrontandosi pubblicamente in Parlamento.
“Con democrazia parlamentare non si indica l’esistenza di un Parlamento (che dipende già dal carattere rappresentativo del sistema democratico), ma un particolare collegamento politico tra Parlamento e Governo: il Parlamento, organo vasto che rappresenta tutto il popolo e a cui spetta deliberare, e il Governo, organo ristretto che rappresenta la maggioranza del Parlamento, cui aspetta dirigere gli affari dello Stato. Tale collegamento consiste nel rapporto di fiducia.”
“Il sistema parlamentare vuole dire sistema di partiti, nel quale il luogo di elaborazione dei grandi indirizzi politici è il Parlamento, mentre il Governo è l’organo esecutivo di tali indirizzi, responsabile di fronte al Parlamento.” [2]
Il Parlamento concede e revoca la fiducia al Governo. Dopo le elezioni, le Camere concedono la fiducia al nuovo esecutivo, ma nell’arco della legislatura possono anche decidere di revocarla attraverso la mozione di sfiducia. In questo modo esse vincolano il Governo al rispetto della volontà generale espressa dagli elettori.
Tale fiducia del popolo nel Governo oggi viene meno, ed il Governo, invece di ripensare radicalmente le politiche economiche che creano disoccupazione e malcontento progettando magari un “nuovo New Deal“, toglie ad una Camera, il Senato, la facoltà di esprimere la sua fiducia nell’esecutivo.
Alcuni articoli chiave dalla Costituzione al riguardo:
- Art. 1 c. 2: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.”
- Art. 70: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere.”
- Art. 71: “L’iniziativa delle leggi appartiene al Governo, a ciascun membro delle due Camere ed agli organi ed enti ai quali sia conferita da legge costituzionale. Il popolo esercita l’iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli.”
- Art. 76: “L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti.”
- Art. 139: “La forma Repubblicana non può esser oggetto di revisione costituzionale.”
Trattati europei: il “superamento” del modello di democrazia parlamentare
I trattati europei [3] definiscono le funzioni delle istituzioni europee ed i rapporti tra potere esecutivo, legislativo e giudiziario, delineando un paradigma diverso da quello definito nella Costituzione italiana.
Le competenze della UE
In maniera estremamente schematica, potremmo così riassumere il riparto delle competenze tra Unione europea e Stati membri:
Le istituzioni della UE
In questo articolo ci focalizzeremo sulle prime tre istituzioni, per riuscire a comprendere meglio il funzionamento dell’iter legislativo a livello europeo, che produce leggi poi recepite a livello nazionale determinando – tra l’altro – le condizioni economico-sociali in cui viviamo.
Il Parlamento europeo
Il Parlamento europeo è un organo legislativo dell’UE ed è eletto direttamente dai cittadini dell’Unione ogni cinque anni. Attualmente è composto da 751 membri (Art. 14 p. 3 TUE [4]) e la carica di Presidente è rivestita da Martin Schulz.
Art. 14 p. 1 TUE: “Il Parlamento europeo esercita, congiuntamente al Consiglio, la funzione legislativa e la funzione di bilancio. Esercita funzioni di controllo politico e consultive alle condizioni stabilite dai trattati. Elegge il presidente della Commissione.”
La Commissione europea
La Commissione ha il ruolo di presentare le proposte di legge e di far applicare il diritto europeo. Accentra quindi in sé potere legislativo ed esecutivo. Fissa gli obiettivi e le priorità dell’azione della UE mediante il programma annuale di lavoro della Commissione e si adopera per realizzarlo.
Ogni cinque anni viene nominata una nuova squadra di 28 commissari (uno per ciascuno Stato membro dell’UE). Il candidato alla carica di presidente della Commissione viene proposto al Parlamento europeo dal Consiglio europeo, che delibera a maggioranza qualificata.
Il presidente della Commissione è quindi approvato dal Parlamento europeo a maggioranza (vale a dire con almeno 376 voti su 751). A seguito dell’elezione, il presidente sceglie gli altri 27 membri della Commissione sulla base delle proposte presentate dagli Stati membri. Attualmente il presidente è Jean-Claude Juncker.
Art. 17 p. 2 TUE: “Un atto legislativo dell’Unione può essere adottato solo su proposta della Commissione, salvo che i trattati non dispongano diversamente. Gli altri atti sono adottati su proposta della Commissione se i trattati lo prevedono.”
Art. 17 p. 3 TUE: “Il mandato della Commissione è di cinque anni. I membri della Commissione sono scelti in base alla loro competenza generale e al loro impegno europeo e tra personalità che offrono tutte le garanzie di indipendenza. La Commissione esercita le sue responsabilità in piena indipendenza. Fatto salvo l’articolo 18, paragrafo 2, i membri della Commissione non sollecitano né accettano istruzioni da alcun governo, istituzione, organo o organismo. Essi si astengono da ogni atto incompatibile con le loro funzioni o con l’esecuzione dei loro compiti.”
Il rapporto di fiducia tra Parlamento Europeo e Commissione: la mozione di censura (o sfiducia)
Art. 17 p. 8 TUE: “La Commissione è responsabile collettivamente dinanzi al Parlamento Europeo. Il Parlamento Europeo può votare una mozione di censura della commissione”
Art. 234 TFUE [5]: “Se tale mozione è adottata, i membri della Commissione si dimettono collettivamente dalle loro funzioni.”
Il Consiglio (dei ministri) dell’UE
Il Consiglio è composto da tutti i Ministri degli Stati nazionali e dal Presidente scelto a rotazione ed in carica per sei mesi.
Le procedure legislative dell’UE
Gli atti giuridici vincolanti dell’UE
Le procedure non legislative dell’UE
Conclusione
Ciò che emerge da questi estratti dei trattati è che il modello che delineano è contraddistinto da un assetto istituzionale completamente diverso da quello descritto nella nostra Costituzione; un assetto in cui non vi è più un bilanciamento tra poteri perché la Commissione, pur non essendo legittimata democraticamente da un’elezione a suffragio universale, accentra su di sé sia il potere esecutivo sia quello deliberativo che spetterebbe al Parlamento, unico organo eletto direttamente dagli Europei.
Su alcune materie di fondamentale importanza, inoltre, il Parlamento europeo non è neppure chiamato a decidere. Ad esempio relativamente al livello degli investimenti pubblici, con cui si potrebbe contrastare l’odierna e terribile condizione di disoccupazione di massa. La procedura di sforamento del livello di spesa a deficit, e quindi del livello di tassazione e spesa degli Stati, prevede infatti che le decisioni vengano prese esclusivamente dalla Commissione europea e dal Consiglio (art. 126 TFUE).
Vogliamo adeguare al paradigma dei trattati il modello di democrazia parlamentare scritto in Costituzione, il quale, seppur senz’ombra di dubbio imperfetto, ha consentito al Paese di costruire le basi del progresso sociale dal dopoguerra ad oggi?
Ci auguriamo che questo articolo, seppur denso, restituisca ai cittadini un quadro più chiaro sulle reali ragioni della riforma e consenta loro di votare più consapevolmente. Buon voto!
Note
1.^ Si veda il vademecum Le ragioni del No dell’Associazione Libertà e Giustizia
2.^ Estratto dal libro “Questa Repubblica” di Gustavo Zagrebelsky
3.^ Qui disponibili in versione consolidata
4.^ TUE: Trattato sull’Unione europea
5.^ TFUE: Trattato sul funzionamento dell’Unione europea