Il libro di Veronica De Romanis “L’austerità fa crescere” è un saggio di macroeconomia?
Secondo l’economista De Romanis, esistono due tipi di austerità: una buona e una cattiva. Quella buona porta l’economia di un Paese a crescere, mentre quella cattiva condanna il Paese a una perenne austerità. Per dimostrare la sua tesi, la docente della Luiss illustra (ma non analizza) una serie di elementi macroeconomici di diversi Stati: Portogallo, Lettonia, Regno Unito, Giappone e Italia. Ma il suo ragionamento è focalizzato in realtà su due casi: le politiche economiche di Grecia e Spagna e i conseguenti risultati.
La ricetta neoliberista della buona austerità si articola in tre punti:
- mettere in ordine i conti pubblici tagliando la spesa pubblica improduttiva in modo selettivo,
- rispettare i piani di austerità richiesti dai mercati per dimostrare agli stessi di essere affidabili (e obbedienti),
- fare quelle riforme strutturali impopolari che i mercati pretendono senza farsi mai deviare da derive populiste.
Secondo Veronica De Romanis, se i Governi rispettano e applicano questa ricetta l’economia dello Stato cresce. Quando non rispettano uno o più punti della ricetta, l’economia dello Stato non cresce, e questo implicherà una perenne austerità.
Il libro vorrebbe dimostrare che la Spagna, avendo avuto il coraggio di applicare la ricetta della buona austerità, è ora fuori dalla crisi, con un PIL che cresce con decisione.
La Grecia, al contrario, essendo governata da partiti populisti avrebbe applicato una cattiva austerità, dunque si troverebbe per questo ancora in piena crisi e con un PIL inchiodato a terra.
Ma i risultati ottenuti dalla Spagna e quelli al negativo della Grecia sono coerenti con la “buona” ricetta neoliberista raccomandata dalla De Romanis?
Mettere in ordine i conti pubblici
La Spagna ha ridotto la sua spesa pubblica in percentuale sul PIL, passando dal 48,1% del 2012 al 42,4 % del 2016. La Grecia ha fatto molto di più (naturalmente in peggio, dal nostro punto di vista), riducendo la spesa dal 62,3% sul PIL del 2013 al 49% del 2016.
La Grecia è stata, dunque, drammaticamente più virtuosa rispetto alla Spagna nell’applicare la buona austerità. Questo è il vero motivo per cui la Grecia ha una crescita peggiore della Spagna.
Le riforme strutturali
Entriamo nel merito delle riforme strutturali applicate dai due Governi e vediamo che ruolo hanno giocato nello stimolare la crescita. Le riforme strutturali hanno l’obiettivo di ridurre il costo del lavoro e di aumentare la produttività.
La Grecia ha ridotto il costo del lavoro più di quanto è accaduto in Spagna.
Il dato greco è semplicemente coerente con la deflazione salariale che hanno dovuto subire tutti i Paesi dell’area euro, ma soprattutto quelli che hanno attuato la buona austerità come la Grecia.
La produttività spagnola è cresciuta più di quella greca. Vediamo perché.
Per capire meglio il dato, analizziamo la differente crescita che i due Paesi hanno registrato relativamente al saldo commerciale con l’estero. Mentre l’economia greca, non essendo mai stata orientata all’esportazione, nello sforzo di applicare la buona austerità ha ridotto drasticamente anche i consumi dei beni importati, quella spagnola ha invece rafforzato l’industria esportatrice. Il maggiore export ha contribuito alla crescita del PIL. Ed è proprio il settore delle esportazioni che spiega, a parità di tasso di disoccupazione, la maggior produttività del sistema spagnolo, che è dovuta alla maggior domanda aggregata (interna + estera) a cui ha risposto la produzione spagnola. L’aumento dell’export spagnolo ha portato giovamento al benessere dei lavoratori spagnoli? No, ma questo tema merita una riflessione dedicata.
Essere virtuosi agli occhi dei mercati
Il comportamento maggiormente virtuoso della Grecia rispetto alla Spagna si traduce nella riduzione del deficit richiesta dai mercati al fine di concedere la tanto ambita fiducia.
A differenza della Spagna, che resta regolarmente sopra al limite del 3% del rapporto deficit/PIL imposto dai trattati europei, nel 2016 la Grecia ha raggiunto quel saldo positivo che rappresenta l’ottimo per la buona austerità e per la fiducia dei mercati. Noi sappiamo che la riduzione del deficit è un vero e proprio veleno per l’occupazione e per l’economia del settore privato, ma secondo la De Romanis non è così. La meno virtuosa Spagna cresce più della Grecia, eppure l’autrice si dimentica di citare il maggior deficit della Spagna come elemento di valutazione e sorvola su ciò che metterebbe in discussione le sue conclusioni.
Ci manca ancora un dato da analizzare: il tasso di disoccupazione. Spagna e Grecia presentano entrambe un tasso di disoccupazione attorno al 20%. Le due economie sono ancora in piena fase recessiva, e le politiche neoliberiste improntate all’austerità non creano alcun miglioramento concreto per la qualità di vita dei cittadini.
Conclusioni
Nella realtà è successo esattamente il contrario di quanto la De Romanis illustra nel libro. La Spagna va meno peggio perché non segue la buona austerità, che è stata invece la condanna della Grecia. Non esiste una buona austerità, ma solo austerità che impone al 20% dei Greci e degli Spagnoli di essere disoccupati nonostante la loro volontà. Tutte le altre definizioni di austerità sono solo dannose suggestioni che hanno un intento preciso, che vedremo nel prossimo articolo.
In conclusione, considerato che il libro “L’austerità fa crescere” riesce a dimostrare l’opposto di quanto si propone, c’è da chiedersi per quale motivo è stato scritto. In realtà il motivo è chiaro fin dalle prime pagine, e lo spiegheremo nella seconda parte.