Lo scorso 16 marzo il Fondo Monetario Internazionale ha pubblicato un rapporto di 38 pagine che analizza la situazione italiana e suggerisce l’indirizzo da dare alle politiche fiscali per favorire la crescita economica.
Salta subito all’occhio un aspetto: l’FMI riconosce che
“La spesa primaria corrente nominale dell’Italia [la spesa al netto degli interessi sul debito pubblico: sanità, istruzione, pensioni e, in generale, tutto ciò che rende un Paese civile, moderno e democratico, NdA] è cresciuta dell’1,8 percento all’anno in media, al di sotto della media dell’area dell’euro del 2,6 percento“
ma pone l’accento sul fatto che negli ultimi decenni la spesa sia cresciuta più rapidamente del potenziale di crescita dell’economia. Non c’è da stupirsi, è una cosa ovvia: le politiche di austerità ostacolano la crescita, di conseguenza la spesa peserà in percentuale maggiore su un Pil che non cresce e risulterà maggiore del tasso di crescita previsto del Pil.
I tecnici del FMI ammettono che il rallentamento della crescita è dovuto sopratutto al “congelamento dei salari del settore pubblico e la riduzione del numero dei dipendenti da 3,6 milioni del 2007 a circa 3,3 milioni del 2015, e un forte calo delle spese in conto capitale [gli investimenti] diminuito di circa il 28 percento in termini nominali tra il 2009 e il 2016.” (pag. 4). Ovvero gli Italiani hanno fatto sacrifici pesanti, ma non sufficienti agli occhi del FMI: bisogna ridurre ulteriormente la spesa pubblica.
I sussidi sociali, secondo il rapporto, hanno dominato su tutte le altre categorie di spesa, aumentando del 43% circa dal 1999 al 2007 e aumentando di un ulteriore 33% negli anni successivi. La spesa per sussidi sociali rappresenta la metà della spesa primaria totale, e la spesa per le prestazioni sociali è rappresentata perlopiù dalle pensioni. Ciò nonostante la spesa a sostegno delle fasce più deboli, in Italia, sia comunque più bassa della media europea e le misure in contrasto alla povertà vigenti risultino insufficienti.
Anche solo quest’ultimo dato dimostrerebbe che la spesa pubblica in realtà andrebbe aumentata, ma questo non rientra tra gli obiettivi del FMI.
Un altro capitolo della spesa primaria che l’FMI considera eccessiva riguarda la sanità, ma lo stesso vale anche i compensi percepiti dai dipendenti della Difesa e per i trasferimenti in conto capitale per servizi e affari economici.
“È degno di nota il fatto che, sebbene la spesa complessiva per la sanità pubblica in Italia sia in linea con la media dell’area dell’euro, la maggior parte è per la compensazione dei dipendenti e dei consumi intermedi, in in contrasto con la media dell’area dell’euro. Questo indica spazio per potenziali risparmi di efficienza, a livello di governo locale.” (pag. 6)
Ossia vengono suggeriti ulteriori possibili tagli alla Sanità su base locale, quindi regionale: evidentemente gli oltre 400 milioni previsti dal DEF per il 2017 e gli oltre 600 milioni per il 2018 non sono abbastanza.
Si tiene in alta considerazione il piano di tagli proposto da Carlo Cottarelli (funzionario FMI), che ha prodotto un risparmio pari allo 0,4% del PIL nel 2014, dell’1% del PIL nel 2015 e del 2% del PIL nel 2016.
“Le autorità hanno perseguito una strategia in particolare di taglio delle spese in conto capitale limitando i salari, che sono al 9,8 per cento del PIL, al livello più basso da diversi anni. Questa strategia potrebbe essere vicina al limite, tuttavia, e potrebbe non essere né sostenibile né auspicabile. C’è bisogno di investimenti pubblici per sostenere la crescita.”
Quindi sono ben consapevoli della necessità di un aumento degli investimenti pubblici, che si possono avviare solo aumentando la spesa in deficit dello Stato.
Continuando la lettura, salta fuori un altro dato che in realtà dovrebbe mettere in dubbio la necessità di ulteriori tagli: “l’occupazione nel settore pubblico è inferiore alla media dell’area dell’euro”, “Le pensioni minime e mirate non sono eccessivamente alte. Sebbene la maggior parte dei paesi dell’OCSE non definisca pensioni minime contributive, la pensione minima in Italia non è eccessivamente alta (…)”.
Ma per l’FMI i tagli si devono fare, dunque bisogna trovare una qualche giustificazione. Ed eccola: i pensionati italiani ricevono troppi benefici, specialmente in riferimento ai contributi effettivamente versati. È quindi necessario intervenire, ad esempio attraverso le “sanzioni per prepensionamento (correzioni attuariali). (…) Queste sanzioni sono piuttosto indulgenti – Queisser e Whitehouse (2006) calcola che, per l’Italia, la riduzione neutrale attuariale delle prestazioni per ogni anno di pensionamento anticipato è dell’ordine del 7,5%. La soluzione più semplice sarebbe quella di ridurre la tredicesima (cioè il bonus natalizio), ciò costituirebbe un taglio del 7,7%”.
Il calcolo del tasso di indicizzazione delle pensioni è fissato all’1,5% sulla base di un tasso di crescita reale previsto a lungo termine, ma il tasso di rendimento reale è superiore al potenziale di crescita dell’Italia.
“Sarebbe quindi importante introdurre un automatico fattore di aggiustamento (o sostenibilità) che collega gli attuali pagamenti delle pensioni ad una misura di equilibrio attuariale a lungo termine per proteggersi da shock imprevedibili e migliorare l’equità intergenerazionale” (pag. 15)
“Per esempio, il budget 2017 prevedeva un quattordicesimo versamento annuale ai pensionati con un basso reddito così come dei versamenti temporanei in denaro per i lavoratori anziani fino al loro pensionamento, ed è stata sollevata la soglia dell’esenzione delle tasse per i pensionati, (…) facilitando il prepensionamento di alcune categorie di lavoratori e ha abolito un numero limitato di pensionamenti anticipati.”
“(…) i benefici per i pensionati, così come la quattordicesima, sono mal mirati in quanto i pensionati hanno un’incidenza minore sulla povertà rispetto ai giovani in età lavorativa o i disoccupati.”
“(…) Fornire tali benefici è una scelta socio-politica, dal punto di vista della progettazione del sistema pensionistico, tali benefici non sono trasparenti, né per quanto riguarda la natura assicurativa, specialmente dopo gli anni di congedo di maternità o i periodi spesi per l’assistenza all’infanzia che vengono conteggiati nel calcolo contributivo” (…) il sostegno sarebbe più mirato e più efficiente mediante indennità familiari dirette o di supporto all’infanzia.” (pag. 16)
Quindi si suggerisce una revisione dei criteri di computazione dei periodi di contribuzione che non prenda in considerazione i congedi di maternità e i congedi per l’assistenza all’infanzia.
Anche le pensioni di reversibilità per l’FMI vanno sforbiciate.
“A circa il 2¾% del PIL, la spesa per le pensioni di reversibilità è la più alta d’Europa. (…) I pagamenti delle rendite per i membri della famiglia superstiti diversi dal coniuge superstite o gli orfani dovrebbero essere rigorosamente limitati.”
E andrebbero aumentati i contributi a carico dei lavoratori autonomi.
“I contributi dei lavoratori autonomi potrebbero essere aumentati. Sono al 33 percento, i tassi di contribuzione sui salariati , e sono alti. Dei tassi di contribuzione sui salariati, circa un terzo è a carico del dipendente e due terzi a carico del datore di lavoro.
Anche il Tasso di contribuzione “neutro” per i lavoratori autonomi dovrebbe essere almeno del 27 percento.” (pag. 17)
Dal momento che, secondo le proiezioni del 2017 dell’RGA (programma di analisi di crescita dell’affidabilità), la spesa pensionistica è destinata ad aumentare, “il sistema pensionistico deve tagliare le pensioni medie dei futuri pensionati ulteriormente di circa il 2½% del PIL (o del più del 20%)” (pag. 18).
Ovviare il problema dei tagli con una crescita dell’occupazione, in modo da incrementare i versamenti contributivi? Per l’FMI fare affidamento su un aumento dell’occupazione non è sufficiente. L’aumento della forza lavoro causa aumento della spesa pensionistica:
“Supponendo che il tasso di disoccupazione dell’Italia si assesti al 9%, che implica un aumento del tasso di occupazione a circa il 60% nel lungo termine, il totale della spesa pensionistica aumenta dell’1½ percento del PIL entro il 2070” (pag 18)
Dall’austerità non si sfugge.
“In sintesi, rifacendosi a ipotesi più prudenti (…) la spesa pensionistica come percentuale del PIL dovrebbe raggiungere i 20,3 nel 2045 (circa il 4% di PIL al di sopra della proiezione di base della RGA per il 2045) prima del declino a 15,7 nel 2070 (circa 2 ½ percento del PIL superiore alla proiezione di base di RGA per il 2070).”
Via libera ad ulteriori riforme per ridurre il debito pubblico!
“Si dovrebbe prendere in considerazione l’adozione di misure che possano produrre risparmi nel lungo termine e risparmi sicuri a medio termine, in linea con le attuali impostazioni della politica (…) Queste potrebbero andare verso la creazione dello spazio per ottenere avanzi primari maggiori [lo Stato dovrebbe cioè aumentare quanto preleva ai cittadine con le tasse, che è già ora più di quanto spende per i servizi, NdA] in quanto l’Italia ha bisogno di mettere il debito pubblico su una traiettoria discendente stabile e di migliorare l’equità intergenerazionale spostando l’aggiustamento [cioè i maggiori costi, NdA] sui pensionati che finora hanno vissuto in condizioni finanziarie migliori” (pag. 19-20)
Le riforme suggerite sono qui di seguito:
- Eliminare completamente il quattordicesimo pagamento della pensione e il tredicesimo pagamento con una riduzione equivalente dei benefici annuali per tutti i pensionati.
- Introdurre un limite di età per il coniuge superstite e limitare i pagamenti ai parenti altri quali il coniuge o l’orfano sopravvissuto. Ciò limiterebbe l’ammissibilità per una pensione di reversibilità, riduce la spesa e incentiva la partecipazione della forza lavoro.
- Ricalibrare le pensioni esistenti (…) Questo servirebbe a ridurre la spesa pensionistica nel breve e medio termine riducendo i vantaggi a coloro che ne hanno beneficiato.
- Armonizzare i tassi di contribuzione dei lavoratori autonomi con quelli dei salariati.
Tassi di contribuzione inferiori per i lavoratori autonomi costituiscono un trattamento preferenziale.
Sebbene alla fine si traducono in benefici pensionistici più bassi, riducono il finanziamento disponibile per il sistema pensionistico ed è fonte di iniquità. (pag. 21) - (…) I pensionati (…) sono relativamente i maggiori percettori dei servizi sanitari e quindi dovrebbero pagare i contributi sanitari. Si dovrebbe anche prendere in considerazione di invertire la soglia massima esentasse per i pensionati introdotta nel bilancio 2017.
- Regolare il fattore di sconto NDC per riflettere il potenziale di crescita realistico e introdurre un meccanismo di aggiustamento automatico che collega la spesa pensionistica a quella attuariale di equilibrio di lungo termine (Il fattore di sconto attualmente è fissato all’1,5 percento annuo è ben al di sopra del potenziale di crescita a lungo termine dell’Italia, basato sulle attuali impostazioni politiche).
Un’implicazione chiave delle simulazioni sopra è che l’Italia deve perseguire in modo completo le riforme che promuovono la crescita con urgenza per ridurre le rigidità dei salari nominali e aumentare la produttività e i tassi di occupazione a lungo termine.
Altro che crescita economica, queste “indicazioni” mirano al completamento della distruzione dell’economia italiana, aumentano il divario tra ricchi e poveri e sopratutto rappresentano la strada per un aumento della povertà estrema.
È una dichiarazione di guerra, dove però l’offensiva non arriva da uno Stato straniero, bensì da un organismo a cui, per mezzo del trattato di Lisbona, abbiamo ceduto la nostra sovranità parlamentare ed economica (oltre a quella monetaria). Un organismo che, assieme alla Commissione Ue e alla BCE, oggi governa l’Eurozona.
Persino un esponente del partito maggiormente responsabile delle cessioni di sovranità, come Cesare Damiano, oggi si riferisce ai diktat del FMI (fonte ANSA) con “è ora di finirla di farsi dettare le politiche sociali da istituzioni che non ci rappresentano, per poi stupirci se in Europa vincono i populisti e i demagoghi”.
Ma il FMI non ha preso di mira solo il sistema pensionistico.
“Utilizzare strumenti mirati e ben progettati per aumentare l’offerta di manodopera, come la sostituzione del credito d’imposta della famiglia (“coniuge a carico”) [le detrazioni per carico famiglia, NdA] con un credito d’imposta in-lavoro. Significa che al posto delle detrazioni famigliari occorra “far lavorare” il coniuge a carico. (…) Introdurre una tassa sulla proprietà sulle residenze primarie e aggiornare i valori catastali [reintrodurre l’IMU sulla prima casa, NdA]; armonizzare le aliquote IVA ridotte, riducendo la gamma degli articoli soggetti a tariffe ridotte o le esenzioni e considerando un moderato aumento dell’aliquota IVA normale.”
“Abolire il regime di proprietà intellettuale (IP)”. Il diritto di proprietà intellettuale (DPI) si riferisce alla protezione di idee nuove ed uniche, di prodotti e creazioni risultanti dalla creatività umana e dall’innovazione (i brevetti, i marchi di fabbrica e i diritti d’autore, cosiddetti copyright).”
“Migliorare il clima generale degli investimenti affrontando l’incertezza in materia fiscale, ciò smorza la fiducia e gli investimenti dei contribuenti, ad es. rendendo il credito d’imposta su R & S (Ricerca e Sviluppo) permanente”.
“Riformare l’amministrazione fiscale, anche ripristinando l’autonomia delle agenzie fiscali [dando quindi maggiori poteri agli enti di riscossione, come Equitalia, NdA] rafforzando l’applicazione, allentando i vincoli giuridici per affrontare il debito fiscale e portando modalità di rata in linea con le migliori pratiche internazionali.” (pag. 25)
Ridurre gli SSC [Sicuro Sano e Consensuale”, ci si riferisce alla cornice minima di sicurezza nell’ambiente di lavoro, relativamente all’integrità fisica e psicologica in un ambiente messo in sicurezza da eventuali danni non volontari, che deve essere garantita ai lavoratori, NdA] (…) riducendo gli SSC ai datori di lavoro si può ridurre il costo del lavoro (e i prezzi alla produzione, compresi quelli delle esportazioni) e aumentare la domanda di lavoro a breve termine. Il conseguente effetto favorevole sulla bilancia commerciale potrebbe essere temporaneo, se i salari nominali finalmente si adattassero per compensare completamente il taglio. Tuttavia, l’impatto sull’occupazione e sulla produzione potrebbe essere più duraturo con uno spostamento dell’onere d’imposta per il reddito non da lavoro (IVA e tasse di proprietà) che è anche meno distorsivo.” (pag. 26)
In un Paese in cui ogni anno ci s’interroga sulla necessità di migliorare l’applicazione della normativa sulla sicurezza sul lavoro, visti i tanti incidenti ogni anno, il FMI ci dice invece che pur di risparmiare, pur di incentivare le esportazioni (a danno dell’economia nazionale e al solo vantaggio degli industriali e delle multinazionali) si possono mettere a repentaglio le vite dei lavoratori?
Via le detrazioni fiscali.
“L’Italia ha la più bassa offerta di lavoro di donne sposate tra i paesi dell’UE. Questo è in parte guidato da un credito d’imposta (le detrazioni per carico famigliare) per le coniugi non lavoratrici che scoraggia la loro offerta di lavoro. Le prove disponibili suggeriscono che l’adozione di crediti fiscali in-lavoro per i percettori di basso reddito, all’interno di una riforma neutrale dal punto di vista delle entrate, possono avere impatti considerevoli sulla partecipazione e l’occupazione aggregata della forza lavoro femminile (Saez, 2002; De Mooij, 2008).” (pag. 2p7)
“La reintroduzione di una tassa di proprietà sulle residenze primarie è un elemento vitale di un moderno sistema fiscale in Italia. La tassa di proprietà comunale (conosciuta come “IMU”) e la tassa comunale sui servizi locali (“TASI”) per le residenze primarie sono state abolite nel 2015, a causa della loro impopolarità.”
“L’imposta patrimoniale è uno strumento efficiente e può generare entrate significative. Nel 2015 le imposte ricorrenti sui beni immobili hanno generato l’1,6% del PIL in Italia. Anche se le tasse sulla residenza primaria sono state reintrodotte per sfruttare appieno il potenziale della proprietà fiscale, è essenziale riformare il sistema catastale e aggiornare i valore catastali.” (pag. 28)
“Potrebbe essere gradualmente eliminato il credito d’imposta sugli interessi ipotecari. (…) e andrebbe rivisitato il credito d’imposta per spese mediche.” (pag. 29)
“Due tipi di entrate e misure di spesa favorevoli alla crescita sono considerati lungo il percorso di risanamento di bilancio previsto: spostare la tassazione dalle imposte dirette a quelle indirette, abbassare la spesa e spostare la sua composizione dai trasferimenti agli investimenti.” (pag. 32)
Gli investimenti dovrebbero interessare tutti quei settori in cui da decenni viene ridotta la spesa: la Ricerca, l’Istruzione, la Sanità. Creare lavoro o, al contrario, disoccupazione, è sempre una scelta politica.
Il risparmio rappresenta un atteggiamento virtuoso per il privato cittadino, ma non a livello aggregato. Quando tutti risparmiano l’economia non gira, e quando a risparmiare è lo Stato il risultato è catastrofico. Probabilmente gli economisti del FMI ancora non hanno capito che lo Stato non è un’azienda ma ha il compito di garantire i servizi essenziali e ridurre le disuguaglianze sociali all’interno della comunità. Dietro ai numeri ci sono sempre persone, le quali hanno diritto a vivere dignitosamente, libere dagli stenti e dalle catene, come invece vorrebbe la Troika.
Ma se nessun partito (almeno tra i più noti) propone politiche per invertire questi meccanismi che continuano a creare sofferenza tra la gente, dove arriveremo?
La gente comune, poco o nulla informata, è convinta che si è vissuto per troppi anni al disopra delle nostre possibilità.