Dopo il mio precedente post sulla diminuzione del QE [Quantitative Easing, ndt] c’è stata qualche discussione sulla pagina Facebook dell’INET YSI Commons circa i programmi di QE. Penso che potrebbe essere costruttivo riassumere ciò che lì si è discusso, dato che fornisce un’ottima panoramica di cosa i programmi di QE fanno, di cosa non fanno, e di come funzionano.
Prima di tutto, comunque, si dovrebbe notare che – nel tempo – gli obiettivi dei programmi di QE sembrano essere cambiati. Quando il programma venne inizialmente avviato dalla Fed nel 2008 – o, se si vuole tornare più indietro nel tempo, quando fu emanato per la prima volta dalla Bank of Japan nel 2001 – in generale si pensava che il programma avrebbe incoraggiato gli investimenti nell’economia reale e creato, così, occupazione.
Questa sarebbe la componente realmente monetarista del programma di QE. L’idea è che si aumenta la quantità di moneta nel sistema, questa moneta fluisce dalle banche all’economia reale, ed in questo modo favorisce l’aumento di investimenti ed occupazione. Una variante su questo [processo, ndt] – quella che potrebbe essere detta la variante Neo-Keynesiana – è molto simile: il programma di QE aumenta la quantità di moneta nel sistema, questo determina una riduzione generale dei tassi d’interesse, e questi ridotti tassi d’interesse inducono necessariamente le aziende ad investire in asset tangibili.
Simili idee hanno costituito l’impulso iniziale al programma di QE, ed attraverso questi stessi criteri esso è fallito in maniera spettacolare – come i sostenitori della MMT e della moneta endogena sospettavano sarebbe accaduto. Nel tempo, comunque, gli esperti hanno rivisto le proprie stime sui programmi di QE in linea con ciò che ha effettivamente prodotto ed hanno tentato di giustificare i suoi risultati a posteriori; la Fed, a sua volta, ha sostenuto queste manovre con gioia e le ha portate avanti.
Queste manovre sono il motivo per cui penso che i programmi di QE siano una distrazione in gran parte falsa, preparata in ultima analisi per l’intrattenimento di economisti ed esperti d’economia; un sonnifero ingerito per distrarsi dalle vere determinanti dei nostri problemi contingenti. Se l’impulso iniziale ai programmi di QE si è dimostrato falso e gli opinionisti, ciononostante, lo giudicano sulla base di alcuni degli effetti che ha ottenuto in modo solo marginale, si è certamente portati a pensare che non si tratti di una politica fondamentalmente insensata, ma di una maschera a copertura dell’impotenza che le banche centrali manifestano dal 2008.
Detto ciò, consideriamo brevemente cosa il QE effettivamente fa e come lo fa.
Come tutti sanno, il programma è attivato dalle banche centrali che creano moneta [dal nulla, ndt] e la usano per acquistare vari asset – principalmente obbligazioni, ma anche titoli ed altre attività. Quando questi asset vengono acquistati accadono di fatto due cose: il loro valore aumenta ed il loro rendimento crolla.
Un altro modo di pensare a questo processo è che le banche centrali stiano limitando l’offerta di asset. Immaginiamo che ci sia un certo numero di questi asset in un dato mercato – diciamo 1.000 – e che il prezzo medio sia anch’esso fissato – diciamo a 1.000 $. Diciamo, inoltre, che le banche centrali intervengano usando la moneta creata dal nulla per comprare metà degli asset e questo, a sua volta, ne raddoppi il prezzo. L’offerta di asset sul mercato si dimezza ed il prezzo raddoppia (questo non è un ritratto accurato né dell’entità degli acquisti da parte della banca centrale né delle dinamiche dei prezzi, ma solo un esempio stilizzato, per aiutarci a comprendere le dinamiche in azione).
Contemporaneamente, comunque, all’ascesa del prezzo degli asset, il loro rendimento crolla. Perciò, per esempio, immaginiamo che gli asset inizialmente avessero un rendimento medio del 5%. Ma, dopo gli acquisti da parte delle banche centrali, il loro rendimento crolla della metà, al 2,5%.
Ora la situazione è chiara. I detentori degli asset hanno visto un aumento del loro valore netto poiché il valore degli asset è raddoppiato, ma [allo stesso tempo, ndt] hanno visto un crollo dei propri flussi di reddito dato che il rendimento dei loro asset si è dimezzato. In gergo economico potremmo dire che poiché il loro stock di ricchezza è aumentato, i loro flussi di reddito sono diminuiti. Questo è ciò che potremmo chiamare “effetto primario” del QE.
Ci sono, comunque, effetti secondari. Poiché il rendimento dei loro asset è crollato, e poiché alcune persone – che erano solite possedere asset, li hanno venduti alla banca centrale e ora detengono contante – che in sostanza rende lo 0% (per la verità, il tasso reale è 0,25% negli USA e 0,50% nel Regno Unito) – questi investitori cercheranno altri mercati in cui fare soldi. Questo [comportamento, ndt] spingerà in questi stessi mercati ad un aumento del valore degli asset, e ad una diminuzione dei loro rendimenti. Perciò abbiamo una sorta di effetto a cascata in cui l’iniziale aumento di valore causato dal QE si trasmette da un mercato ad un altro. Questi sono gli effetti secondari.
Neil Lancastle mi ha ricordato che c’è anche un effetto terziario. Quando le aziende vedono aumentare il valore dei propri asset, vedono anche aumentare il valore del capitale proprio. Questo le incoraggia ad un maggiore leverage [rapporto tra il livello di debito e gli asset detenuti. Più alto è l’ammontare di debito e più alto è il leverage finanziario; fonte: http://www.businessdictionary.com/definition/leverage.html, ndt] e ad investire [questi capitali, ndt] in una maggiore quantità di asset. Ciò, a sua volta, fa aumentare ancora di più il valore degli asset.
Come possiamo vedere, comunque, il processo a cascata alla fine si esaurisce. E il risultato è un mercato in cui i prezzi degli asset sono aumentati sostanzialmente, ma i rendimenti sono diminuiti. Questo si rivela essere un’arma a doppio taglio per risparmiatori ed investitori. Da un lato essi sono lieti di vedere che i propri asset sono aumentati di valore, ma dall’altro i loro flussi di reddito sono diminuiti sostanzialmente. Dopo un po’ questo dà noia agli investitori, dato che erode la loro ricchezza; questo è il motivo per cui alcune persone, nei mercati finanziari, specialmente i n quello dei fondi pensione, sono infastiditi dai programmi di QE: essi rendono estremamente difficile accumulare flussi di reddito stabili.
Mentre gli effetti che i programmi hanno sugli investitori sono contrastanti, gli effetti che hanno sui prezzi degli asset e sul leverage non lo sono: esso fa sì che aumentino oltre il livello che si sarebbe avuto se i programmi non fossero esistiti. Questo si può rivelare estremamente problematico. Molti, come Chris Cook ed Izabella Kaminska (ed io stesso), hanno sostenuto che i programmi abbiano per esempio portato al rialzo dei prezzi delle merci. Tale rialzo del prezzo degli asset potrebbe anche – e le banche centrali sono più che consapevoli di questo punto – portare a bolle [speculative, ndt]. Io per esempio ho discusso come le attuali dinamiche nel mercato azionario possano diventare fragili se il Governo tagliasse la spesa e l’economia reale stagnasse.
Quindi, come possiamo vedere, ci sono rischi e lati negativi nei programmi di QE. Essi tanto colpiscono quanto aiutano investitori e risparmiatori, e possono causare instabilità e fragilità nei mercati finanziari. Il programma, da questo punto di vista, fornisce essenzialmente una scarica di zuccheri al mercato, ma non è assolutamente chiaro che, quando la pressione al prezzo degli asset svanirà, il livello complessivo del reddito non si ridurrà, a causa del ridotto reddito da interesse.
Nel frattempo, tuttavia, il programma ha effetti estremamente positivi per i debitori. Dato che la cascata [di liquidità, ndt] riduce le rendite dei mercati, i tassi d’interesse su ogni sorta di prestiti ai consumatori crollano. Questo riduce l’ammontare che questi debitori devono pagare in termini di interesse sul debito. Il grafico seguente mostra la quantità del reddito disponibile che le famiglie statunitensi stanno utilizzando per ripagare i propri debiti:
Come possiamo osservare questa si è ridotta da circa il 13,5%, prima dei programmi di QE, a circa il 10,4% a seguito di essi. Ciò significa un aumento netto dei redditi disponibili delle famiglie statunitensi del 3,1%. Non è certo qualcosa che faccia storcere il naso e, siccome esse avranno una maggiore quantità di reddito da spendere in altri beni e servizi, ciò si aggiungerà senza dubbio alla domanda ed al Pil.
Dovrebbe essere comunque sottolineato che gli effetti positivi si limitano a questo. I primi due round di QE cominciarono tra novembre 2008 ed aprile 2011. Come possiamo vedere, in questo periodo i pagamenti del debito e degli interessi maturati su di esso, come percentuale del reddito disponibile alle famiglie, sono caduti in modo sostanziale, al 10,4%. Il terzo round di QE è iniziato a settembre 2012 e non ha affatto avuto un grande effetto; infatti dai dati che possediamo per il quarto sembra che i pagamenti del debito e degli interessi maturati su di esso, come percentuale del reddito disponibile alle famiglie, sia in realtà aumentato di circa lo 0,2%. Parliamo di rendimenti decrescenti!
E questo è davvero quanto. Come possiamo vedere gli effetti dei programmi di QE sono contrastanti. Essi possono spingere i prezzi degli asset – ma ciò è in gran parte compensato dalla risultante riduzione delle rendite. Potrebbero anche avere effetti indesiderabili, e portare a fragilità. I programmi alleviano anche il fardello del pagamento di interessi per i debitori. Ciò ha un effetto positivo, ma è soggetto a rendimenti seriamente decrescenti.
Dobbiamo sottolineare ancora che l’idea che originariamente sta dietro il QE è stata che esso avrebbe dovuto aumentare investimenti reali ed occupazione. Questo semplicemente non è avvenuto, e secondo questo standard – che è lo standard sulla base del quale cui il QE avrebbe dovuto essere valutato – il programma si è dimostrato un terribile fallimento. Da ciò dovremmo trarre una lezione chiave: l’investimento da parte delle aziende è in primis e principalmente guidato dalla domanda, e non risponde semplicemente ai bassi tassi d’interesse o agli aumenti dell‘offerta di base monetaria. Se i clienti non sono lì ad acquistare beni e servizi, le società non investiranno e non assumeranno nell’economia reale.
È per questa ragione che i programmi di QE sono in gran parte una distrazione, da parte di un establishment economico che si sente impotente quando si confronta con i fatti poco chiari del mondo post-2008. Piuttosto che riconoscere i seri problemi strutturali che affrontiamo – da Governi moribondi che intraprendono falliti programmi di austerità alla sempre crescente disuguaglianza nella distribuzione del reddito – l’establishment preferisce chiacchierare sui programmi di QE, come se i secchioni avessero ancora qualche controllo sul sistema. Bene, la dura realtà è che non ce l’hanno.
Originale pubblicato il 25 settembre 2013
Traduzione a cura di Andrea Sorrentino, Supervisione di Maria Consiglia Di Fonzo