Le elezioni generali spagnole del dicembre 2015 (si veda il mio post precedente) hanno cambiato, forse per sempre, il panorama politico spagnolo. Ricordiamo i precedenti. La crisi economica e sociale dovuta al dannoso progetto dell’euro ha chiaramente minato l’ampio supporto sociale al regime costituzionale del 1978. Nel corso dei primi anni della crisi, le élite europee e spagnole hanno mancato di empatia nei confronti delle difficoltà delle classi medio-basse: azioni rapide quando si trattava di salvare banche, ma indifferenza al pignoramento delle case agli indigenti che non avevano potuto pagare il mutuo dopo aver perso il proprio posto di lavoro; programmi non finanziati a sufficienza per l’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro, ma generosi schemi retributivi per gli alti funzionari delle istituzioni multinazionali; disoccupati di lungo periodo che hanno terminato tutti i propri risparmi, sussidi di disoccupazione abbandonati dallo Stato, ma scandali giornalieri sulla corruzione dei dirigenti di partito; sono solo alcuni esempi del disastro sociale che la classe politica spagnola non è stata in grado di affrontare in maniera equa.
L’ultimo Governo socialista, sotto Zapatero, all’inizio ha risposto alla crisi con un pacchetto di stimoli [all’economia] che in effetti stava funzionando, ma rapidamente è crollato sotto la pressione del nefando quartetto – Trichet, Merkel, Barroso e Sarkozy – con una svolta verso l’austerità e l’inclusione della regola aurea [1] nella Costituzione spagnola. Questo ha comportato la fine del PSOE, il più vecchio partito politico della Spagna. Nel 2011 il conservatore e profondamente corrotto PP [2] ha vinto le elezioni e, con il suo entusiasmo per il “consolidamento fiscale”, ha rapidamente spinto il Paese in una recessione [cosiddetta] “double-dip” [3]. Le loro politiche malaccorte e l’obbedienza alle istruzioni europee hanno semplicemente prolungato la sofferenza della classe operaia e di quella media. Il grafico che segue mostra l’effetto di otto anni di crisi sulla distribuzione del reddito. Chiaramente, i percentili più indigenti hanno visto i loro standard di vita distrutti.
Nel 2014 il Governo del PP ha implementato qualche timido stimolo fiscale che ha provocato l’aumento del deficit primario consentendo però [anche] un ritorno alla crescita. Molti sospettano che l’UE abbia chiuso un occhio sulla mancanza di rettitudine fiscale da parte della Spagna consapevole del fatto che per allora il nuovo [partito] arrivato nel blocco, Podemos, demonizzato come “populista” dai media mainstream e dalle autorità europee, stava conquistando la base elettorale del partito socialista. L’obiettivo era quello di assicurare una vittoria al PP e minare il supporto a Podemos, ma al danno provocato dall’austerità non si poteva rimediare facilmente. Dai benefici degli stimoli di bilancio del Governo del PP molti sono stati esclusi. Le riforme del mercato del lavoro, richieste dal Sig. Trichet in una lettera intimidatoria recapitata ai Sigg. Berlusconi e Zapatero, hanno fatto sì che i nuovi posti di lavoro fossero in larga parte di carattere occasionale ed a bassa retribuzione.
In questo scenario elettorale, il supporto ad entrambi i maggiori partiti è sceso a minimi senza precedenti nelle elezioni del 20 dicembre. Se nel complesso i loro voti ammontavano a più dell’80% [dei voti totali] nelle elezioni del 2008, in quelle del 2015 il PP e il PSOE [4] hanno avuto difficoltà a superare la soglia del 50%. La fine del “bipartidismo” ha permesso l’ingresso in Parlamento di due nuovi partiti: Ciudadanos al centro-destra e Podemos alla sinistra radicale. La frammentazione dell’assemblea ha reso la formazione di una maggioranza di Governo più ardua della soluzione di un Sudoku. Il PP e Ciudadanos insieme avevano una maggioranza sufficiente. L’adesione del PSOE ad un Governo di coalizione con la destra sarebbe equivalsa ad un suicidio. Per i socialisti, il dilemma è di ardua soluzione: non vogliono riconoscere il loro nuovo rivale per quanto riguarda i cittadini di sinistra, ma orientarsi a destra non farebbe altro che alienare ulteriormente i loro elettori. Pedro Sánchez, il leader del PSOE eletto dai baroni di partito e, fino ad allora, meglio noto come autore della bozza di riforma costituzionale che introduce la regola aurea, ha presto realizzato di non avere scelta. Ciononostante ha subito raggiunto un accordo con Ciudadanos, un partito che ideologicamente è molto più affine di quanto avrebbe voglia di ammettere alla leadership del PSOE. Podemos è quindi stato invitato a supportare questa coalizione con un approccio del tipo “prendere o lasciare”. Naturalmente Podemos si è rifiutato di cadere nella trappola, che sostanzialmente era stata architettata per mostrare che Podemos era contro il sistema e che non era interessato ad accettare un impegno serio. Infine, una volta divenuto evidente che non si intravedeva una coalizione in tempi brevi, il Re ha indetto nuove elezioni, che si sono tenute a giugno.
I risultati sono stati simili a quelli di dicembre. Ma Podemos, ora impegnato in una coalizione con Izquierda Unida, non è riuscito a realizzare il “sorpasso” del PSOE previsto dai sondaggi d’opinione. Il PP ha fatto in modo di recuperare alcuni dei voti che erano andati a Ciudadanos. Tuttavia, sostanzialmente, la situazione era contorta tanto quanto lo era nel Parlamento precedente. Il conservatore Rajoy ha fatto prima un’offerta al Parlamento su richiesta ufficiale del Re, ma non ha avuto successo. Pedro Sánchez, rendendosi conto che supportare un PP evidentemente corrotto sarebbe stato un suicidio, persino con un’astensione tattica, ha cominciato ad usare lo slogan “no vuol dire no” per inviare il messaggio che non era disposto a sostenere un Governo conservatore. Ma, incapace di formare un’alternativa, ha dato l’impressione che fossimo indirizzati verso un inevitabile terzo round elettorale. L’establishment spagnolo ha allora deciso di alzare la temperatura su Pedro Sánchez. La stampa e specialmente El País, tradizionale punto di riferimento per la maggior parte dei progressisti ora fermamente controllato da Banco Santader e da altri gruppi d’interesse finanziario, [ormai] uno spettro screditato rispetto al passato secondo molti progressisti, ha iniziato un’aggressiva campagna a favore di un [possibile] Governo Rajoy. Questa linea editoriale era aggressiva oltre ogni immaginazione. I baroni di partito, specialmente il presidente dell’Andalusia, Susana Díaz – donna priva di una carriera a prescindere dalla politica di partito e dallo scarso spessore ideologico – e l’ex-Primo Ministro Felipe González, non avevano mostrato alcuna vergogna nella loro campagna per modificare la posizione del loro ex-protetto. Il leader obbediente si stava ribellando contro i propri mentori e non stava obbedendo all’ordine di consentire a Rajoy di governare per il bene della Spagna e dell’Europa. Al contrario, si sentiva dire che forse Sánchez stava discutendo con Podemos e con i partiti nazionalisti, oltrepassando le linee rosse tracciate dall’establishment spagnolo. Il non plus ultra.
Il culmine del confronto finale tra i leader del partito e Pedro Sánchez si è presentato alla fine di settembre. L’ostinazione di Sánchez e le voci che lo vedevano valutare un’alternativa con Podemos ed alcuni nazionalisti catalani e baschi hanno spinto all’azione i baroni del partito. Inizialmente hanno cercato di costringere Pedro Sánchez a convocare il Comitato Federale, l’organo al vertice del partito tra i congressi, sapendo che il controllo era nelle mani dei leader del partito. Pedro Sánchez ha rifiutato e deciso a sua volta di cercare il supporto dei militanti del partito. Il suo tentativo di organizzare a sorpresa un congresso straordinario del partito seguito dalle primarie, è stato disinnescato al Comitato Federale da 17 oppositori che il 28 settembre hanno presentato le loro dimissioni nel tentativo di forzarne lo scioglimento che, secondo le regole del partito, avviene quando si dimette la metà dei suoi membri più uno, considerando dimissionari anche i posti precedentemente vacanti. Il confronto ha assunto proporzioni spettacolari il 29 settembre, quando la presidentessa del Comitato Federale, Veronica Pérez, si è presentata nell’atrio del quartier generale del partito sostenendo che fosse “l’unica istituzione” a cui non le era consentito accedere. Il giorno seguente, con i membri del partito a manifestare nelle strade di fronte al loro quartier generale ripetendo “no vuol dire no”, i sostenitori di Pedro Sánchez hanno piazzato un’urna elettorale nell’atrio, in un disperato tentativo di assicurarsi un voto segreto al Comitato Federale sulla questione di indire un congresso straordinario. I loro oppositori hanno gridato allo scandalo e obbligato a rimuovere l’urna elettorale. Qualche ora più tardi, senza dubbio costretto, Pedro Sánchez ha presentato la sua lettera di dimissioni ed un comitato provvisorio lo ha sostituito con l’obiettivo di dare istruzioni ai membri del partito socialista di astenersi e consentire al Sig. Rajoy di governare.
Gli eventi avvenuti tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre richiamano chiaramente un coup d’état e provano la mancanza di una tradizione democratica e di rispetto per un giusto processo all’interno dei partiti tradizionali spagnoli. Il caso della leadership del PSOE è un esempio della conquista oligarchica descritta da Lorenzo del Savio e Matteo Mameli. Il coup contro Pedro Sánchez ha provocato una profonda frattura tra la leadership del partito, chiaramente cooptata dal pensiero di gruppo [5] europeo descritto da Bill Mitchell, e la base del partito. Grazie al coup, orchestrato dalla vecchia leadership del PSOE, pochi giorni più tardi Rajoy è stato nominato con l’astensione dei membri socialisti del Parlamento, malgrado lo sprezzo di 15 deputati e dei socialisti catalani che hanno comunque votato “no”. Probabilmente il danno a quest’antico partito è irreparabile e sembra chiaramente destinato a seguire le orme già seguite da altri partiti socialdemocratici come il PASOK, il Partito Socialista Italiano e il tedesco PSD, [orme] che portano all’estinzione o all’irrilevanza. Podemos può ora sostenere di essere l’unico partito dell’opposizione, un emarginato sotto il costante attacco dei media mainstream. Nel frattempo, il partito conservatore è tornato al potere ed è pronto ad implementare un altro round di austerità, come richiesto dalla dogmatica Commissione europea. Il suo obiettivo è quello di introdurre tagli [alla spesa pubblica] pari al 2% del PIL, iniziando già quest’anno con 5 miliardi di euro. Questo potrebbe riportare la Spagna in recessione quando quasi il 20% dei lavoratori è ancora disoccupato.
Note del Traduttore
1.^ Il pareggio di bilancio
2.^ PP: Partido Popular
3.^ Recessione a forma di “w”, espressione con cui si indica un particolare tipo di crisi recessiva: dopo un iniziale picco negativo l’economia torna a crescere per un periodo, per poi crollare nuovamente; l’andamento della recessione economica iniziata nel 2008 sembra seguire questo schema. Fonte: Treccani.it
4.^ PSOE: Partido Socialista Obrero Español
5.^ Groupthink, o pensiero di gruppo, è il termine con cui, nella letteratura scientifica, si indica una patologia del sistema di pensiero esibito dai membri di un gruppo sociale quando questi cercano di minimizzare i conflitti e raggiungere il consenso senza un adeguato ricorso alla messa a punto, analisi e valutazione critica delle idee. Creatività individuale, originalità e autonomia di pensiero vengono tutti sacrificati in cambio del perseguimento dei valori di coesione del gruppo. Fonte: Wikipedia.org
Traduzione a cura di Andrea Sorrentino, Supervisione di Maria Consiglia Di Fonzo