L'Editoriale

Contro il reddito di cittadinanza. Contro la condanna al parassitismo

Contro il reddito di cittadinanza. Contro la condanna al parassitismo

Uno strumento che non elimina la povertà, ma la “spalma” rendendola più socialmente accettabile

Un reddito di cittadinanza non risolve la criticità della discriminazione nell’accesso al mondo produttivo e lascerebbe i percettori di tale reddito esclusi dal sistema sociale universalmente e storicamente caratterizzante l’Umanità, fondato sul lavoro, in cui le persone costruiscono quotidianamente presente e futuro con i propri sforzi. Nell’ambito dell’economia reale è possibile distribuire solo ciò che è stato prima prodotto ed il lavoro è elemento necessario alla produzione. Dare accesso in modo indiscriminato al prodotto del lavoro, senza che nuova forza lavoro venga attivata per la creazione di nuovo valore economico, non farebbe altro che peggiorare ulteriormente la condizione di chi lavora.

Con l’implementazione di un reddito universale incondizionato, i lavoratori sarebbero in grado di accedere ad una porzione ancor più piccola del valore economico risultante dalla loro attività. Il reddito incondizionato universale, od altre soluzioni che ne condividono lo scollamento con la dimensione produttiva, costituirebbe un ulteriore prelievo dei risultati dell’attività produttiva dei lavoratori, aggiuntivo rispetto a quello già realizzato dal capitale. Ciò comporterebbe, non solo una redistribuzione della ricchezza reale a danno dei lavoratori, ma anche una riduzione del reddito reale complessivo (per via del deperimento della forza lavoro conseguente alla sua non completa attivazione, oltre che alla plausibile riduzione della forza lavoro stessa).

Certamente è auspicabile che vi siano forme di protezione per chi si trova in condizione di non poter lavorare o per i soggetti che è nell’interesse pubblico non far lavorare – come ad esempio gli studenti – ma nel resto dei casi è nell’interesse pubblico porre l’inclusione nel processo produttivo come base della fonte di reddito, evitando di costringere in una condizione di forzato parassitismo sociale ampie fette della forza lavoro.

Il reddito di cittadinanza parte dall’accettazione del problema della disoccupazione, non dalla sua risoluzione. Ma eliminare la disoccupazione vorrebbe dire aumentare il deficit pubblico (diminuendo le tasse – per esempio eliminando l’IVA – ed aumentando la spesa pubblica). La disoccupazione si elimina aumentando la spesa nell’economia fino a che questa raggiunge il limite della sua capacità produttiva, appunto la piena occupazione, situazione in cui nessuno è obbligato a rimanere disoccupato a causa dei vincoli monetari posti alla spesa complessiva nell’economia. Ciò è in antitesi con il dna dell’UE ed è più facile quindi parlare di reddito di cittadinanza. Più facile non dare a tutti l’accesso ad un vero lavoro dignitoso.

 

Articolo pubblicato sul numero di febbraio 2018 della rivista Bergamo Economia Magazine.


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2 Commenti

  • La piena occupazione, connessa all’elevata produttività non porta alla sovrapproduzione? La società e il pianeta è in grado di assorbire tale produzione? Certo che il lavoro non è inteso solo come produttore di manufatti, prodotti alimentari, energetici, ma anche servizi, cultura, lavoro intellettuale in generale, ecc… Credo che il reddito di cittadinanza inteso come strumento di ridistribuzione del reddito non sia sbagliato. In quanto dare una garanzia di sopravvivenza possa liberare capacità produttiva scollegata dal mercato. Ci sono tanti lavori di utilità sociale che si potrebbero fare ma non si fanno perché nessuno li pagherebbe… Dovrebbe essere lo Stato a pagarli? Ma allora cosa cambia con il reddito di cittadinanza? Non credo che sia possibile ricevere un reddito e stare tutto il giorno a non far niente. In un qualche modo tutti sono produttivi. Anche stare davanti un social network a condividere e scrivere è produrre no? Non c’è qualcuno che guadagna da questo mio scrivere e condividere?

    • Grazie per il suo contributo.

      La questione della sovrapproduzione. Innanzitutto chiarisco una cosa che è già chiara: sovrapproduzione rispetto a cosa? A nostro modo di vedere l’unico limite alla produzione sono le risorse del pianeta. C’è il rischio di un sovrasfruttamento delle risorse del pianeta? Sì, assolutamente, ma è un rischio non legato alla piena occupazione. Già oggi stiamo sovrasfruttando le risorse del pianeta. Inoltre, “fare più PIL” non necessariamente coincide con sfruttare più risorse. Anzi, un impianto di riciclo dei rifiuti fa PIL, così come una campagna di sensibilizzazione ecologica fa PIL. E in piena occupazione le persone sono più inclini a prendersi cura del prossimo e dell’ambiente, poiché non sono impegnate nella lotta per la sopravvivenza.

      La questione reddito o lavoro, e quale lavoro. Non tutti i lavori sono uguali, non tutti arricchiscono la società allo stesso modo. Per un individuo disoccupato, stare sui social è meno produttivo che fare assistenza agli anziani o prendersi cura dei parchi o dei boschi (o altre mille attività legate al proprio territorio).
      Ma al di là di questo discorso, c’è una motivazione più profonda, e “più MMT”. La moneta ha valore perché ne abbiamo bisogno per pagare le tasse. QUANTO valore abbia, invece, lo stabilisce lo Stato nel momento della spesa pubblica. Ad esempio, se lo Stato remunera un’ora di lavoro di un medico con 30 fiorini, allora il medico avrà una misura del valore della valuta rispetto alla propria fatica, al proprio tempo. In generale, “il livello dei prezzi è una funzione dei prezzi pagati dal monopolista”. È lo Stato che determina il “centro di gravità” attorno al quale orbita il livello dei prezzi. Per tale motivo, ogni spesa improduttiva dello Stato, come gli interessi sui titoli di Stato, oppure le spese assistenziali, o le pensioni, o il reddito di cittadinanza, è una operazione che tende a diminuire il valore della valuta. Estremizzando, se lo Stato desse a tutti una quota di valuta in cambio di nulla, allora tutti potrebbero pagare le tasse senza lavorare, e lo Stato non potrebbe avere controllo sul suo territorio: non avrebbe soldati, non avrebbe medici, non avrebbe professori, non avrebbe nulla. Non potrebbe comprare nulla. Chiaramente, alcune spese improduttive sono socialmente necessarie, come le pensioni o l’assistenza ai disabili. Ma laddove non sono necessarie, è bene evitarle. In tutto ciò non ho parlato degli effetti psicologici del lavoro. È molto meglio essere remunerati per aver prodotto qualcosa di collettivamente utile, piuttosto che essere pagati senza merito.

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