Nella prossima serie di blog analizzeremo in maggiore dettaglio le operazioni fiscali e quelle monetarie di un Paese con una valuta sovrana. Prima di farlo, però, esaminiamo rapidamente il caso dell’Euro. Lasciatemi dire che non affronteremo nel dettaglio la crisi che si sta dispiegando in diversi Paesi di Eurolandia. Il motivo è che i fatti si stanno evolvendo troppo rapidamente, e non sappiamo in quale direzione porteranno. Questo Primer dev’essere per certi aspetti “senza tempo” – [poiché] qualunque specifica situazione di cui discuteremmo diventerebbe rapidamente datata. Il punto fondamentale da discutere qui è che la struttura dell’Euro è fallace, [e lo era] sin dal principio. La crisi era inevitabile – come scrivo sin dalla metà degli anni ’90. Non c’è modo che il sistema, così com’è stato strutturato, possa sopravvivere ad una crisi finanziaria significativa. E nel 2007 è iniziata una crisi. A causa di errori nella configurazione [della struttura dell’Eurozona], era ovvio (almeno a coloro che hanno sostenuto la MMT) che la struttura originale non sarebbe stata sostenibile. Non potevamo dire con certezza come si sarebbe risolta, ma richiedeva un cambiamento fondamentale.
Ad un estremo dello spettro degli esiti [possibili], l’Unione Monetaria Europea [UME, d’ora in poi] semplicemente si sarebbe dissolta ed ogni Paese sarebbe tornato ad una valuta sovrana. All’estremo opposto, sarebbe stata creata una “unione [ancora] migliore”. Abbiamo sempre sostenuto che il problema fondamentale fosse la separazione tra politica fiscale e politica monetaria. Quasi nessuno ci ha voluto ascoltare. Un’eccezione degna di nota fu l’economista Charles Goodhart. Ora, nell’autunno 2011, è diventato usuale dare la colpa della crisi dell’UME alla separazione della politica monetaria dalla politica fiscale. È stato finalmente riconosciuto che l’errore fondamentale è stato [creare] una struttura in cui la politica monetaria è accentrata sotto il controllo della BCE, ma la politica fiscale è lasciata ai singoli Paesi. La maggior parte degli economisti, tuttavia, ancora non riconosce che tutto ciò si riduce alla [questione della] sovranità della valuta. Non si tratta solo della necessità di accentrare la politica fiscale; c’è bisogno di un emettitore di valuta sovrana che assuma la responsabilità della politica fiscale. Un riconoscimento estremamente lento del problema ha fatto sì che la crisi si sia trascinata per quattro anni; e nell’autunno 2011 non è ancora chiaro che la soluzione è politicamente possibile.
Tuttavia, prima di iniziare la spiegazione, lasciate solo che io faccia riferimento ad un “evento attuale”. Il Segretario del Tesoro USA Geithner è volato in Europa per dare quello che si è rivelato essere un consiglio sgradito su come affrontare le crisi [dei diversi Paesi]. I Ministri delle Finanze europei non solo hanno rifiutato i suoi consigli per stimolare i loro sistemi economici, ma gli hanno anche impartito una lezione sulla politica economica degli USA:
Ho trovato insolito che gli Americani, nonostante abbiano dati fondamentali significativamente peggiori rispetto [a quelli] dell’Eurozona, ci dicano cosa dovremmo fare, e quando diamo loro un suggerimento… lo rifiutano immediatamente
ha riportato in seguito Maria Fekter ai giornalisti…
Possiamo sempre discutere con i nostri colleghi americani. Mi piacerebbe sentire come gli Stati Uniti ridurranno i loro deficit… e i loro debiti
ha detto in modo piuttosto pungente il Ministro delle Finanze belga Didier Reynders. http://seekingalpha.com/article/294219-the-eurozone-shuns-geithner
Ora, io trovo piuttosto scioccante che Geithner riterrebbe di dover tenere una lezione agli Europei, poiché penso che abbia reso confusa la risposta statunitense alla crisi, focalizzando quasi interamente la sua attenzione su Wall Street anziché su Main Street [1] – e, come risultato, gli USA sono a rischio di un altro crollo. Ma quello che è interessante della risposta europea è che [in Europa] ancora non abbiano la benché minima idea di cosa fare. Anche se hanno cominciato a parlare della necessità di collegare la politica fiscale e quella monetaria a livello comunitario, essi non comprendono la [questione della] sovranità valutaria. Come abbiamo sostenuto in precedenza, un Paese con valuta sovrana come gli Stati Uniti si può permettere sempre di spendere di più, e non è soggetto a limiti di solvibilità; l’ampiezza dei suoi deficit di bilancio o il [livello di] debito pendente non compromettono questa possibilità. I deficit possono essere troppo ampi – inflazionistici – ma oggi il problema negli Stati Uniti è che i livelli di deficit sono troppo bassi, considerata la carenza della domanda, e il debito pendente del Tesoro è troppo esiguo in proporzione al desideri di risparmiare Dollari USA – a livello nazionale e globale. Pertanto, affermare che gli Stati Uniti siano in una situazione più precaria [rispetto all’Eurozona] è evidentemente sbagliato.
L’Euro: l’Impostazione di una valuta non sovrana
Per i Paesi che hanno adottato l’Euro, la valuta non è sovrana nel senso adottato in questo Primer. In qualche modo, è come se [i Paesi dell’Eurozona] avessero adottato una valuta estera – qualcosa di analogo alla “dollarizzazione” di un Paese che sceglie di operare mediante un’autorità monetaria che si basa sul Dollaro USA. Il caso non è così estremo, poiché la formazione dell’Unione Europea ha assicurato una qualche volontà degli Stati membri di andare in soccorso degli Stati in sofferenza finanziaria (fatto testimoniato sin da quando la Crisi Finanziaria Globale ha coinvolto inizialmente Eurolandia, nel 2007). Inoltre l’esistenza della Banca Centrale Europea (BCE), che ha la capacità di agire come “prestatore di ultima istanza”, consente una certa flessibilità ai singoli Paesi. Quando un Paese – diciamo l’Argentina – adotta un currency board che si basa su una valuta estera, esso non ha alcuna garanzia (e probabilmente nessuna aspettativa) che l’emettitore di quella valuta (diciamo gli Stati Uniti) verrà in suo soccorso. E mentre i criteri di Maastricht sembrano aver eretto robuste barriere ai salvataggi finanziari degli Stati in difficoltà, probabilmente ci si era sempre aspettati che, in caso di emergenza, sarebbero stati forniti “bailout” [2].
Vediamo allora per quale motivo i Paesi che utilizzano l’Euro non dovrebbero essere considerati emettitori sovrani della propria valuta. Mentre i seguaci della Teoria Monetaria Moderna hanno predetto con largo anticipo che la struttura di Eurolandia non avrebbe consentito di affrontare una crisi finanziaria, i problemi non sono divenuti evidenti sino a che la Grecia non ha affrontato un collasso a seguito della Crisi Finanziaria Globale. Solo gli affannosi sforzi degli altri Paesi membri e della Bce hanno impedito un collasso del mercato del debito pubblico greco. Nell’autunno 2011 la crisi continua a diffondersi in Eurolandia perché non è stata trovata alcuna soluzione definitiva ai problemi creati dall’uso di una valuta non sovrana.
È importante riconoscere la differenza tra una valuta sovrana (caratterizzata da tasso di cambio fluttuante ed inconvertibilità) ed una valuta non sovrana. Uno Stato che opera con una valuta non sovrana, sia che emetta debiti denominati in valuta estera sia che lo faccia in una valuta nazionale vincolata ad una valuta estera (o ad un metallo prezioso), corre il rischio di solvibilità. Invece l’emettitore di una valuta sovrana, cioè uno Stato che spende usando la sua valuta il cui valore di mercato fluttua e che non è convertibile, non può essere costretto ad indebitarsi. Questo è qualcosa che viene riconosciuto – almeno parzialmente – dai mercati, e persino da coloro che valutano il merito creditizio. Questo è il motivo per cui un Paese come il Giappone può permettersi un rapporto tra debito pubblico e Pil più che doppio rispetto al “livello elevato di debito” dei Paesi dell’Eurozona (i “PIIGS”: Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) e godersi ancora tassi d’interesse sul debito sovrano estremamente bassi. Al contrario gli Stati degli USA, o i Paesi che come l’Argentina (nei tardi anni 1990) – che operano con currency board – ed i Paesi dell’Eurozona, affrontano declassamenti e aumenti nei tassi d’interesse pur avendo rapporti di deficit molto più bassi di quelli del Giappone e degli Stati Uniti. Questo avviene perché un Paese che opera attraverso una valuta propria può sempre spendere accreditando conti bancari, e questo comprende la spesa per interessi. Pertanto non esiste rischio di default. Invece, un Paese che si vincola o opera sotto un’autorità monetaria può essere costretta a fallire – come il Governo USA, che abrogò il suo impegno verso l’oro nel 1933.
Il problema, con l’Eurozona, è che gli Stati hanno rinunciato alle proprie valute sovrane in favore dell’Euro. Per i singoli Paesi [membri], l’Euro è una valuta estera. È vero che i singoli Stati nazionali spendono ancora accreditando i conti bancari dei venditori, e ciò implica un credito di riserve bancarie dalla Banca Centrale nazionale. Il problema è che le Banche Centrali nazionali devono ottenere dalla BCE le loro riserve in Euro per la compensazione. Alla BCE, a sua volta, è proibito acquistare debito pubblico degli Stati. Le Banche Centrali nazionali possono ottenere riserve solo nella misura in cui la BCE ne presta loro, in cambio di debito pubblico nazionale (o altri titoli di debito forniti come collaterale).
Ciò significa che, anche se le Banche Centrali nazionali possono facilitare la “monetizzazione” [del debito] per consentire agli Stati di spendere, la compensazione impone vincoli fiscali. Questa situazione è analoga a quella dei singoli Stati degli USA, che in realtà hanno bisogno di tassare o indebitarsi per poter spendere. Analogamente, se il Governo di un Paese come la Grecia – che fa parte dell’Eurozona – realizza un deficit, allora la Banca Centrale greca affronterà verosimilmente un continuo drenaggio di riserve dal suo conto presso la BCE. Questo viene nuovamente alimentato con la vendita di Titoli pubblici greci al resto dell’Eurozona, in modo da invertire il flusso di riserve a favore della Banca Centrale greca. I meccanismi sono un po’ diversi per gli Stati degli USA ([Stati] che, naturalmente, non operano con le proprie Banche Centrali), ma le conseguenze sono simili: i Paesi dell’Euro e gli Stati degli USA devono indebitarsi davvero.
Al contrario, un Paese sovrano come gli USA, il Giappone o il Regno Unito, non prende in prestito la sua valuta. Spende accreditando i conti correnti bancari. Quando un Paese opera con una [propria] valuta sovrana non ha bisogno di emettere Titoli per “finanziare” la sua spesa. L’emissione di Titoli è un’operazione volontaria, che dà ai privati l’opportunità di sostituire le proprie passività statali infruttifere, cioè valuta e riserve detenute presso la Banca Centrale, con passività statali fruttifere, cioè Titoli a breve e lungo termine, che sono saldi creditizi [3] sul loro conto titoli detenuto presso la stessa Banca Centrale. Se si comprende che l’emissione di Titoli è un’operazione volontaria da parte di uno Stato sovrano, e che i Titoli non sono altro che conti alternativi presso la stessa Banca Centrale controllata dal Governo stesso, diventa irrilevante in merito alle questioni di solvibilità e tassi d’interesse che ci siano o meno acquirenti per i Titoli pubblici, e se i Titoli siano di proprietà di connazionali o stranieri.
(Ovviamente, come abbiamo detto in precedenza, lo Stato può imporre regole al suo stesso comportamento, per esempio regole che richiedono di vendere Titoli ed ottenere depositi sul suo conto presso la Banca Centrale prima di poter staccare un assegno. Una volta che abbia adottato una simile regola, potreste dire che “non ha scelta”. Un po’ come il personaggio di Jack Nicholson nel film “Qualcosa è cambiato”, dove il protagonista si autoimpone una serie di azioni da fare prima di poter aprire una porta. Questi argomenti sono affrontati meglio dagli psicologi comportamentali [più] che dagli economisti.)
Questioni di solvibilità e finanza Ponzi in una valuta non sovrana
C’è un’ulteriore considerazione [da fare]. Quando un soggetto privato si indebita, le sue passività sono le attività di un altro soggetto. Non c’è creazione di asset finanziari netti. Quando uno Stato sovrano emette debito, esso crea un asset per il settore privato senza che ci sia [però] una passività del settore privato a compensarlo. Quindi l’emissione di debito da parte di uno Stato sovrano corrisponde alla creazione di asset finanziari netti per il settore privato. Il debito privato è debito, ma il debito pubblico è ricchezza finanziaria per il settore privato.
Un aumento del debito privato dovrebbe sollevare preoccupazioni, poiché il settore privato non può incorrere in deficit in modo continuativo. Ma lo Stato sovrano, poiché monopolista della sua valuta, può sempre ripagare il suo debito accreditando i conti correnti bancari – e, per il settore privato, tali pagamenti di interessi sono reddito, mentre il debito è un asset. In altre parole, si tratta di finanza di Ponzi quando ci si deve indebitare per effettuare pagamenti futuri (questo è il termine reso popolare dall’economista Hyman Minsky, introdotto dopo Charles Ponzi, un truffatore che ideò uno “schema piramidale” [4]. Uno schema piramidale più recente è stato organizzato da Bernie Madoff. Nella terminologia di Minsky, Ponzi significa che un debitore deve indebitarsi semplicemente per pagare gli interessi [sul debito], il che significa che il debito cresce – tipicamente in modo insostenibile). Per uno Stato con una valuta sovrana non esiste l’imperativo di indebitarsi; pertanto non si trova mai nella posizione di Ponzi.
Gli Stati sovrani non hanno vincoli finanziari nella loro valuta, essendo gli emettitori monopolisti di quella valuta. Essi effettuano qualunque pagamento debbano fare, inclusi i pagamenti di interessi sul debito e la quota capitale dello stesso, accreditando conti correnti bancari, il che significa che dal punto di vista operativo non hanno limitazioni in termini di capacità di spesa. Poiché l’emissione di Titoli è volontaria, non occorre che uno Stato sovrano lasci che i mercati determinino il tasso d’interesse che esso paga sui Titoli che emette.
D’altra parte gli emettitori non sovrani, come la Grecia, che rinunciano alla propria sovranità monetaria, sono [invece] soggetti a vincoli finanziari, e per finanziare i propri deficit sono costretti ad indebitarsi con i mercati di capitali a tassi di mercato. Come mostra la crisi del debito greco, questo sistema monetario consente ai mercati e alle agenzie di rating (o ad altri Paesi, nel caso della Grecia) di dettare la politica interna di un Paese sovrano a livello politico. Gli Stati non sovrani possono diventare Ponzi – incapaci di onorare il debito esistente una volta terminato il gettito fiscale, per pagare l’interesse essi devono indebitarsi con i mercati.
Chiaramente, simili dinamiche del debito limitano fortemente lo Stato non sovrano. Al crescere del suo indebitamento, i mercati chiedono tassi d’interesse più elevati per compensare il crescente rischio di insolvenza. Lo Stato può facilmente entrare in un circolo vizioso, dato che deve indebitarsi sempre di più per pagare tassi d’interesse sempre più alti. I mercati taglieranno il credito, probabilmente persino prima che venga raggiunta una vera posizione di Ponzi. Orange County, in California (uno dei luoghi più ricchi di beni immobiliari negli USA), si è trovata nella situazione in cui i mercati hanno rifiutato di concedere prestiti. Anche se i Paesi dell’Eurozona come la Grecia non sono ancora arrivati a quel punto, essi hanno richiesto l’intervento della BCE (così come di altri soggetti che hanno aiutato a fornire una serie di quasi-bailout [5]).
Anche se non scenderemo nei dettagli, la maggior parte dei [Paesi] cosiddetti PIIGS hanno affrontato gravi difficoltà solo a causa della crisi finanziaria globale – sia perché il gettito fiscale è crollato nonostante l’imposizione fiscale sia aumentata, sia perché molti di loro hanno tentato di soccorrere i propri istituti finanziari. Tutto ciò ha portato a debiti pubblici rapidamente crescenti; i differenziali di tasso d’interesse (tra i travagliati PIIGS ed economie più forti quali Germania, Olanda e Francia) sono esplosi. Sono subentrate le dinamiche viziose del tasso d’interesse.
Se gli Stati europei avessero tentato di seguire le restrizioni del PSC [6] – un tentativo che sarebbe certamente fallito per via della natura endogena dei deficit di bilancio – non sarebbero stati in grado di supportare le proprie economie nella crisi globale, portando probabilmente ad una depressione globale, o quantomeno continentale. Le variazioni del saldo del bilancio pubblico devono essere ampie tanto quanto le variazioni degli investimenti (o, più in generale, quanto le variazioni del saldo del settore privato) così che la politica fiscale possa essere usata per contrastare il ciclo economico.
Anziché usare il bilancio pubblico come uno strumento per creare un sistema relativamente stabile e in grado di supportare un elevato tasso di occupazione, gli Europei hanno fatto dei bassi deficit un obiettivo politico, senza alcun riguardo per le conseguenze sull’economia. Ed anche senza il PSC la spesa pubblica è limitata dalle percezioni di rischio da parte del mercato – proprio perché questi Paesi non hanno un sistema di valuta sovrana come quello degli Stati Uniti, del Regno Unito o del Giappone.
In altre parole, le strutture dell’UME non erano all’altezza di affrontare la CFG. Ora: neanche gli Stati Uniti hanno affrontato bene la CFG – ma ciò è stato quasi interamente dovuto ad una cattiva politica. In Eurolandia, anche con la migliore politica possibile, i singoli Paesi non hanno potuto affrontare i problemi che li hanno investiti. Essi avevano necessità di qualcosa di equivalente ad un Tesoro centrale (un Tesoro nazionale sullo stile di quello USA), con la capacità di spendere nella misura necessaria. Invece hanno fatto pasticci, affidandosi ad una combinazione di mezzi passi da parte della BCE e all’austerità. E questo è il motivo per cui Eurolandia è in condizioni ben peggiori rispetto agli USA, nonostante quanto annunciato dai loro Ministri delle Finanze.
Note del Traduttore
1.^ Main Street: classe lavoratrice media; fonte: Businessdictionary.com
2.^ Bailout: aiuti finanziari o scorte di liquidità per consentire di evitare il fallimento; fonte: Investorwords.com
3.^ Saldi creditizi: fondi sul conto che derivano da un’operazione di vendita a breve; fonte: Investopedia.com
4.^ Schema piramidale: modello economico di vendita al fine di realizzare truffe
5.^ Quasi-bailout: meccanismi di “quasi” salvataggio
6.^ PSC: Patto di Stabilità e Crescita
Originale pubblicato il 18 settembre 2011
Traduzione a cura di Andrea Sorrentino, Supervisione di Maria Consiglia Di Fonzo