Nelle ultime due settimane ci siamo posti la seguente domanda e vi abbiamo risposto: perché qualcuno accetterebbe una “valuta fiat”, priva di valore intrinseco che sia garantito da un metallo prezioso? Abbiamo affermato che la sola istituzione del corso legale non è sufficiente, perché generalmente per uno Stato è troppo difficile farla rispettare. Sappiamo inoltre che le “valute fiat” sono spesso accettate anche laddove il loro uso non sia obbligatorio (cioè dove non ci sono leggi che ne istituiscano il corso legale, o almeno nessuna che sia applicabile).
Abbiamo concluso che “le tasse guidano la Moneta”: se un sovrano ha il potere di imporre e far onorare una passività fiscale, allora questi può far sì che vi sia domanda per la sua valuta. Questa è l’unica transazione per cui lo Stato può assicurarsi che venga utilizzata la sua “valuta fiat”: nei pagamenti fatti in suo favore.
Abbiamo anche concluso che andranno bene altri tipi di obbligazioni: se avete necessità della valuta per pagare tariffe, sanzioni, o decime, domanderete valuta in quantità almeno sufficiente ad effettuare quei pagamenti. E, infine, abbiamo affermato che un’autorità che monopolizza una risorsa necessaria (terra, energia) può “sceglierne il prezzo”, cioè stabilire cosa debba essere dato per ottenerla in cambio. Anche questo potrebbe guidare la valuta – e, di nuovo, succede perché l’autorità può scegliere la forma in cui il pagamento viene effettuato.
[Affinché la valuta sia accettata] La scelta migliore [da parte di un sovrano] è quella di un pagamento di tipo obbligatorio – ossia un pagamento che deve essere effettuato se non si vuole andare in carcere, o si vuole evitare di morire di sete. Un pagamento obbligatorio da effettuare nella valuta propria del sovrano garantirà una domanda per quella valuta.E abbiamo affermato che anche se ci sono persone che non devono pagare tasse (o tariffe, ecc.) al sovrano, queste potrebbero comunque accettare la valuta, sapendo che altre sono soggette ad obblighi fiscali e per questo la accetteranno. Ma quanta valuta verrà accettata? Può il sovrano emettere più [valuta rispetto a quella necessaria ad onorare il valore] delle passività fiscali? In quel caso, quanta di più?
Imporre e far onorare una passività fiscale assicura che almeno coloro che sono soggetti al pagamento delle tasse desiderino la valuta nazionale, in quantità almeno pari alla passività fiscale che sarà loro imposta. Nei Paesi sviluppati la popolazione è disposta ad accettare più valuta nazionale rispetto alla quantità necessaria al pagamento delle tasse e – tipicamente – lo Stato non trova venditori che non desiderino vendere in cambio della valuta nazionale.
Di solito – diciamo negli Stati Uniti, nel Regno Unito, o in Giappone – qualunque cosa può essere acquistata con valuta nazionale. Questi Stati sovrani possono acquistare qualsiasi cosa attraverso l’emissione di propria valuta.
Per essere chiari: se c’è qualche bene o servizio in vendita ad un prezzo denominato in Dollari USA, essi possono essere acquistati in cambio di valuta USA (puntualizziamo solo una cosa ora, per poi spiegarci meglio più avanti: a volte, specialmente per pagamenti effettuati via posta, le banconote e le monete metalliche non sono accettate. Ma quando un pagamento è effettuato tramite assegno c’è un trasferimento di riserve bancarie – un parente stretto della valuta sovrana).
Tuttavia la situazione può essere diversa nei Paesi in via di sviluppo, in cui le valute estere potrebbero essere preferite per le transazioni “private” (pagamenti che non coinvolgono il sovrano). Sicuramente, la popolazione desidererà la quantità di valuta nazionale sufficiente ad onorare i propri obblighi fiscali, ma le passività fiscali possono essere ridotte attraverso l’elusione e l’evasione. Ciò limiterà la capacità dello Stato di acquistare prodotti utilizzando la sua valuta.
Possiamo farci un’idea di massima del limite imposto ad uno Stato la cui popolazione preferisce la valuta estera [a quella nazionale]. Ipotizziamo che lo Stato imponga una passività fiscale pari ad un terzo del Pil rilevato. Tuttavia, poiché l’economia informale elude la contabilità, assumiamo che il Pil rappresenti solo metà del reale livello di produzione [del Paese].
Assumiamo inoltre che lo Stato sia in grado di riscuotere, a causa dell’evasione, solo metà delle tasse imposte. Questo significa che il gettito fiscale è pari ad appena un sesto del Pil rilevato, e ad un dodicesimo della produzione e del reddito reali (ciao Grecia! Stiamo solo scherzando, ma è una delle affermazioni che spesso vengono fatte).
Come minimo, in una situazione simile lo Stato sarà in grado di spostare verso il settore pubblico un dodicesimo della produzione nazionale spendendo la sua valuta nazionale (poiché coloro che hanno effettivamente necessità di pagare le tasse hanno bisogno della valuta nazionale per adempiere i propri doveri).
In pratica, lo Stato sarà probabilmente in grado di catturare più di un dodicesimo della produzione nazionale, perché alcune entità “private” (nazionali e forse estere) desidereranno accumulare valuta nazionale, come anche altri crediti vantati nei confronti dello Stato (ad esempio, Titoli pubblici) – rammentiamo, da discussioni precedenti, che i deficit pubblici consentono l’accumulo di ricchezza finanziaria netta nella forma di ITD statali. È perciò verosimile che lo Stato sarà in grado di acquistare un po’ più di un dodicesimo del Pil, mentre riscuote tasse pari ad un dodicesimo del reddito nazionale, e alcune famiglie o imprese (o anche privati ed istituzioni esteri) accumuleranno il resto della valuta spesa come ricchezza finanziaria netta.
(Questi calcoli sono necessariamente approssimativi, perché stiamo ignorando i possibili effetti della tassazione e della spesa [pubblica] sul comportamento della popolazione. Per esempio, imporre una tassa può spostare una maggior produzione nel “mercato grigio”, facendo rilevare valori più bassi di Pil e di reddito tassabile).
Per catturare una maggiore percentuale della produzione nazionale, lo Stato ha bisogno di perseguire politiche che: a) riducano l’evasione fiscale, b) formalizzino una parte più ampia del settore informale. Entrambe queste azioni aumenterebbero le tasse sulla popolazione e consentirebbero allo Stato di ottenere un maggior livello di produzione.
Se le tasse ammontano ad appena un dodicesimo della produzione nazionale, per lo Stato potrebbe non essere efficace aumentare semplicemente la propria spesa al fine cercare di spostare maggiori risorse al settore pubblico – questo potrebbe portare anche solo ad inflazione, dato che i venditori accetterebbero una quantità di valuta maggiore solo a prezzi più elevati (visto che possiedono già la valuta di cui hanno bisogno per adempiere gli obblighi fiscali che pensano verranno loro applicati). E, oltre un certo punto, lo Stato potrebbe non trovare altri venditori per ulteriore valuta.
Anche se è sbagliato – per ragioni che vedremo più avanti – affermare che le tasse “pagano” la spesa pubblica, è vero che l’incapacità di imporre ed applicare passività fiscali limiterà la quantità di risorse che lo Stato può controllare.
Per lo Stato il problema reale non è in termini di “possibilità economica”, quanto piuttosto di limitata capacità di spostare risorse perché non può imporre e applicare tasse ad un livello sufficiente a raggiungere il risultato desiderato.
Lo Stato può sempre “permettersi” di spendere di più (nel senso che può emettere una maggiore quantità di valuta), ma se non può applicare e riscuotere tasse, non troverà sufficiente disponibilità da parte dei cittadini di accettare la valuta nazionale nei suoi acquisti.
Per farla semplice, la popolazione si accorgerà di non avere bisogno di valuta nazionale addizionale se ha già onorato le passività fiscali che lo Stato applica (e averne risparmiata un po’ per ogni evenienza). In quel caso aumentare le tasse aumenterebbe la domanda di valuta nazionale (per pagare le tasse), il che genererebbe un aumento di coloro che sono disposti a vendere allo Stato in cambio della sua valuta.
Finché lo Stato può imporre e riscuotere più tasse, la sua spesa sarà vincolata dalla disponibilità della popolazione a vendere in cambio di valuta nazionale. E questo, a sua volta, è dovuto alla preferenza di utilizzare la valuta estera con scopi diversi dal pagamento delle tasse, a livello nazionale. Mentre questo non è un grande problema nei Paesi sviluppati, potrebbe esserlo nei Paesi in via di sviluppo.
In questo blog abbiamo supposto che lo Stato spenda e tassi usando valuta (banconote e monete metalliche). Nella pratica gli Stati usano assegni e, sempre più, voci elettroniche su conti bancari. Infatti lo Stato si avvale di banche private per compiere gran parte, o la maggioranza, delle transazioni relative a spesa e tassazione.
Nelle prossime settimane racconteremo più “realisticamente” la tassazione e la spesa, attraverso i conti bancari anziché tramite valuta vera e propria. Ciò non modifica nulla nella sostanza – ma richiede qualche nozione di pratica bancaria, banche centrali ed operazioni del Tesoro, discusse nei successivi blog.
Originale pubblicato il 31 luglio 2011
Traduzione a cura di Andrea Sorrentino, Supervisione di Maria Consiglia Di Fonzo