In quella seduta di anatomia patologica che è la Direzione PD del 29 Settembre, si avvicendano in molti intorno al cadavere deposto sul lettino: il Lavoro.
Alcuni dei visi che scorrono, per una manciata di minuti ciascuno, hanno già dato il loro contributo allo smantellamento di quello che fu il sistema economico italiano. Teneri, a tratti, quando rivendicano di essere stati anche loro “dei duri”. Bersani che ricorda quasi con malinconia come a loro
non sono tremati i polsi quando c’è stato da fare le riforme
ma ciò nonostante questo non è bastato. È stato scartato e sostituito quando “il centro” ha valutato che fosse giunto il momento di Renzi.
Poi entra in scena uno che, quando venne presentata la lista dei ministri del governo Renzi, pareva quasi “capitatovi per caso”: Giuliano Poletti.
Non si capiva come con quell’aspetto sereno, i modi paciocconi, potesse essere il vertice del ministero avamposto della polverizzazione di quel poco che restava dei principi alla base del concetto sociale di “lavoro”. Non lo si sarebbe mai immaginato all’altezza di un Padoan, mai capace della stessa ferocia.
Ma il 29 settembre arriva anche il turno dell’intervento di Poletti, in direzione PD. Il Ministro del lavoro Poletti, che ha giurato di
[…] essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione.
L’incredibile Poletti racconta il suo mondo ideale: la Gran Bretagna. Perché – spiega – lui ha conosciuto un ragazzo di Imola che lavora lì come barista, viene assunto il lunedì mattina e licenziato il venerdì sera, ed è tranquillo perché il lunedì lo riassume qualche altro. Ma soprattutto, questo ragazzo ha una piccola baracchetta con degli amici con cui sta costruendo un’idea imprenditoriale, un sogno.
È il sogno ad essere importante
spiega il ministro Poletti chiudendo il sipario sul favoloso mondo che lui ha in mente, e che sta realizzando: un mondo in cui ogni week-end si viene licenziati, e si resta in compagnia di sogni ed incubi.
Quando si allontana dal palchetto è chiaro che la sessione di anatomia patologica è terminata, e che lui non era l’ultimo degli anatomopatologi, o dei macellai; era il primo dei necrofori, che della salma portava via i resti. Oltraggiandoli come neanche Padoan, tutto sommato, avrebbe avuto la sfacciataggine di fare.