Manca poco meno di un mese al referendum sulla riforma costituzionale ed è importante conoscerne il testo. Il nostro punto di vista poggia sempre sull’analisi dei contenuti, quindi abbiamo ripreso i punti della riforma per chiarire per quale motivo va nella direzione di uno svuotamento della democrazia.
Stampa e diffondi la scheda sulla riforma! Contribuisci a diffondere consapevolezza sull’ennesima riforma che “ci chiede l’Europa”.
(la Redazione)
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Il Senato, come delineato dai nuovi artt. 57 e 66, non sarà più eletto direttamente dai cittadini (come oggi già accade per le Province) e passerà da 315 a 100 Senatori. Di questi, 5 saranno nominati dal Presidente della Repubblica ed i restanti 95 saranno scelti dai Consigli regionali (74 tra i Consiglieri regionali, 21 tra i Sindaci). Dei 100 Senatori, 95 dovranno quindi ricoprire più ruoli contemporaneamente: come Senatori e come Consiglieri regionali o Sindaci. Inoltre, siccome il mandato di ciascun Senatore corrisponderà a quello del ruolo ricoperto nel Comune o nella Regione d’appartenenza, la composizione del nuovo Senato varierà in maniera pressoché continua.
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Il bicameralismo continuerà ad essere “perfetto” per quanto riguarda leggi in materie di fondamentale importanza: tra di esse le leggi elettorali, le leggi di revisione costituzionale, i referendum popolari, le leggi di autorizzazione alla ratifica dei Trattati UE. Ogni legge inerente alle 22 materie previste dovrà essere approvata sia dalla Camera sia dal Senato, che avranno pari poteri di modifica (iter 1). Questi 100 Senatori, non più eletti direttamente dai cittadini, avranno il potere di intervenire su argomenti di assoluta rilevanza nazionale.
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Per ciò che concerne le restanti materie si passa ad un bicameralismo “imperfetto”, in cui il nuovo Senato parteciperà alla formazione delle leggi con poteri differenti rispetto alla Camera. Il nuovo art. 70 sostituisce infatti l’attuale (“La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”) introducendo, secondo alcune delle interpretazioni possibili, tra i 7 e i 12 diversi procedimenti legislativi. Alcuni esempi:
- Iter 2: entro 10 giorni e su richiesta di almeno 1/3 dei membri, il Senato può esaminare il progetto di legge ed, entro 30, proporre modifiche su cui la Camera si pronuncia in via definitiva a maggioranza semplice (50% + 1 dei votanti).
- Iter 3: per i disegni di legge che il Governo propone usufruendo dalla nuova clausola di “supremazia statale”, derogando al riparto delle competenze tra Stato e Regioni, esprimendosi a maggioranza assoluta il Senato può proporre modifiche di cui la Camera può non tener conto solo pronunciandosi anch’essa a maggioranza assoluta.
- Iter 4: per i disegni di legge in materia di bilancio e di rendiconto consuntivo approvati dalla Camera, il Senato può proporre modifiche entro 15 giorni dalla data di trasmissione; la Camera può poi decidere, a maggioranza semplice, se accoglierle o meno.
- Iter 5: il Senato può chiedere, a maggioranza assoluta dei suoi componenti, di procedere all’esame di ogni progetto di legge. La Camera si pronuncia entro 6 mesi dalla delibera del Senato.
Si tratta di formule confuse e complicate, che aprono a possibili contenziosi tra Camera e Senato sulla corretta scelta dell’iter legislativo opportuno.
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Passerà da 50˙000 a 150˙000 il numero di firme necessarie per la presentazione di leggi d’iniziativa popolare.
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Equilibrio e separazione tra i poteri, che Montesquieu sancì ancora nel ‘700, saranno alterati: l’esecutivo prevarrà sul potere legislativo, rappresentato dal Parlamento, ed aumenterà la sua influenza sugli organi di garanzia: Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale.
La Corte Costituzionale è l’organo più alto preposto alla corretta interpretazione delle leggi, chiamato in causa per dirimere controversie tra enti dello Stato, ed è attualmente composta da 15 membri: 5 eletti dal Parlamento (dai suoi 945 deputati), 5 scelti dal Presidente della Repubblica, 5 dalle supreme magistrature. Il Presidente della Repubblica rappresenta l’unità nazionale e, tra le sue prerogative, vigila sul rispetto della Costituzione, ha il comando delle Forze Armate ed indice le elezioni delle Camere.
La combinazione tra il nuovo art. 83 e l’Italicum paventerebbe poi il rischio di una situazione estremamente pericolosa: l’abnorme premio di maggioranza permetterebbe ad una minoranza di parlamentari di arrivare al Governo da sola e di eleggere il Presidente della Repubblica sostanzialmente senza tener conto della volontà del Parlamento nel suo intero. Oggi, infatti, l’elezione del Presidente prevede la necessità di maggioranza assoluta (50% + 1 degli aventi diritto al voto) a partire dal terzo scrutinio; la riforma consentirebbe invece, al settimo scrutinio, di eleggere il Presidente con una maggioranza dei 3/5 dei votanti. Ciò significa ridurre moltissimo la possibilità delle minoranze, che oggi possono far pesare la propria assenza, di esercitare la propria influenza nella scelta del Presidente. Il Presidente così eletto non sarebbe più espressione di tutto il Parlamento e quindi del Paese, ma di un partito soltanto.
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Il paradigma dei Trattati europei deforma la Costituzione: si andrà in direzione di un superamento del modello di democrazia parlamentare, abbracciando un sistema in cui il potere si accentra verso l’alto (dalle autonomie territoriali allo Stato, dal Parlamento all’esecutivo) e in cui l’esecutivo detta l’agenda del Parlamento. Il paradigma descritto dai Trattati europei prevede infatti un esecutivo forte (la Commissione europea), che accentra su di sé anche il potere legislativo (con il monopolio dell’iniziativa legislativa) a discapito del Parlamento europeo, che può solo “contrattare” con il Consiglio alcune limitate modifiche ai testi di legge proposti dalla Commissione (art. 294 TFUE).
Quale cambiamento desideriamo? Che sia attuata la Costituzione!
Desideriamo davvero un sistema in cui l’esecutivo accentra su di sé il potere assoluto senza “controlimiti”, come già accadde durante il ventennio fascista?
Noi NO! Uno Stato che voglia poter investire nel progresso necessita di una democrazia con un cuore pulsante e un’adeguata rappresentanza dei cittadini in Parlamento.
Oggi il Governo ha il potere di attuare un programma di politica economica radicalmente diverso da quello previsto dai Trattati europei e attuato dai Governi nazionali negli ultimi decenni. Stop a politiche improntate alla riduzione del deficit pubblico, che aumentano disoccupazione, ricattabilità dei lavoratori e abbassamenti dei salari! Abbiamo bisogno di piani di lavoro e di investimenti pubblici attuati sforando il limite alla spesa in deficit imposto dai Trattati, ovvero di uno Stato che investa sul Progresso.